#55
da Kalimeroxxx
Cronache La metropoli Il mezzo pubblico che non inquina è da sempre un simbolo di Milano
Il tram e il Suv, uno scontro tra due mondi
Suv: Saranno Utili Veramente, in città, questi macchinoni ingombranti, fatti per sterrati e neve?
Porsche Cayenne, tram, autobus. Un'auto di lusso, svizzera; due mezzi pubblici milanesi. Un Suv nero, due mastodonti arancioni. Il Palazzo di Giustizia, per una volta testimone dietro i testimoni. Giorgio Gaber, che aveva cuore e cervello, avrebbe potuto tirarci fuori una canzone, da questa tragedia didascalica. Noi, stiamoci attenti. Sull'assurdità dei Suv urbani abbiamo scritto in molti. Qualche città del mondo — Londra, per ultima — ha preso provvedimenti. Suv: Saranno Utili Veramente, in città, questi macchinoni ingombranti, fatti per sterrati e neve? Qualunque sia la vostra risposta — la mia l'avete intuita — la colpa non è di un modello, ma di un comportamento. Il razzismo automobilistico è odioso come tutti gli altri. Tram e autobus sono tra i simboli di Milano che hanno resistito meglio. I primi sono maschili («Il 12»), e dimostrano una concentrazione sull'oggetto; i secondi sono femminili («La 60»), e spostano l'attenzione sulla funzione (la linea). Se a Milano chiedi «Dove prendo il 60?», sanno che sei forestiero. Se dici «Attàccati al tram!», capiscono che hai vissuto, studiato o lavorato in città.
La semantica dei trasporti è importante, perché in quelle linee, su quelle rotaie, dietro quei finestrini, passa il sangue invisibile di una comunità. Tutti i sindaci di Milano lo sanno, ma temono le spese della cardiologia urbana. I tram, in particolare, colpiscono la fantasia: quelli normali più dei jumbo-tram, quelli tradizionali più di quelli nuovi. È rimasto intatto il potere evocativo. A qualsiasi latitudine, l'immagine di un tram arancione che esce dal grigio commuove i milanesi. È bellezza italiana faticosa e preterintenzionale, l'unica che incanta. Per questo la cronaca, in queste ore, appare emotiva: una tragedia su un tram di Milano è come un disastro nella metropolitana di Londra. La dinamica dello scontro — l'auto illesa, l'autobus infilato dentro il tram, come inghiottito da un pitone meccanico — riassume la difficile convivenza per le strade della città. L'incidente sembra una macabra messa in scena di un racconto del Ranzani di Cantù: solo che stavolta il sangue è vero, il responsabile vive più a nord, e non c'è niente da ridere. Si parlerà molto di questo incidente, e la tentazione moralistica sarà irresistibile.
Qualcuno trasformerà l'accaduto in un apologo politico, altri nella metafora di questi tempi arroganti. C'è chi lo userà per corazzare le proprie convinzioni, e muovere all'attacco. Io suggerisco di prendere l'incidente di Porta Vittoria per quello che è: l'orribile e insolita conseguenza di un comportamento non così raro. Gli incoscienti al volante, di solito, la fanno franca; questo, no. I mezzi pubblici sono luoghi sicuri; stavolta non è andata così. Il traffico di Milano, grazie all'Ecopass, migliora. E noi tutti al volante miglioriamo, lentamente, a nostra volta. Il «massacro di San Valentino». Ricordate? Una sparatoria a Chicago, nel 1929: la gang di Al Capone contro quella di Bugs Moran, sette morti. Milano lascia volentieri il copyright in America. Della tragedia di ieri non faranno un film, né lo vogliamo. Giuliana morta, 21 feriti: dolore dignitoso, composto, fatalista, invernale. Dolore milanese.
Beppe Severgnini
gli unici limiti che avrai saranno quelli che ti costruirai da solo