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#781
L'ESPRESSO
Silvio e Patrizia, i nuovi audio


Silvio e Patrizia, i nuovi audio
Ottobre 2008. Prima di andare a Palazzo Grazioli Gianpaolo Tarantini e Patrizia si mettono d'accordo sulla serata a casa del premier

GT: Allora ...
PDA: mi volevi parlare?
GT: non volevo parlare, volevo dirti... che alle nove e un quarto vi passo a prendere l'autista e andiamo lì ...
Ragazza: andiamo lì ... poi se lui decide rimani lì ...
PDA: ...e mille per la serata.
G: Mille ora già te li ho già dati ... poi se rimani con lui ... ti fa il regalo solo lui ... ah ... vedi che lui non usa il preservativo ... eh
PDA: Ma non esiste una cosa senza preservativo ... come faccio a fidarmi?
G: Ma ... è Berlusconi ...
PDA: Ma tu chi sei? Guarda che ... sai quanta gente è rimasta ...
G: Sai quanti esami fa lui?
PDA: Lo so, ma ... sai ... per noi donne è anche più bello ... voglio dire ... ma sentire una cosa del genere ...
G: Tu puoi decidere, però lui non ti prende come escort, capito? lui ti prende come un'amica mia, che ho portato ...
ASCOLTA L'AUDIO

#782
IL COMMENTO
"Disinformatia" televisiva
di GIOVANNI VALENTINI


Una tv alla maniera della Ddr - paragonabile cioè a quella della Repubblica democratica tedesca, la famigerata Germania dell'Est - non è una televisione di Stato, bensì di regime. Una tv che nasconde, occulta e censura le notizie sgradite al governo, o più in generale ai poteri dominanti. E dunque, l'opposto di un servizio pubblico, finanziato dai cittadini attraverso il canone d'abbonamento, tenuto a fornire invece un'informazione corretta e completa all'intera collettività nazionale.

Il giudizio severo espresso dal quotidiano inglese The Guardian sulla televisione italiana piomba con il fragore di un macigno sul tavolo del Consiglio di amministrazione della Rai, convocato oggi per procedere con le nomine al vertice dei telegiornali e delle reti, come hanno autorevolmente sollecitato il Capo dello Stato e il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza. Ma risulta tanto più grave per il fatto - del tutto anomalo nel panorama internazionale - che la nostra tv pubblica è controllata indirettamente da quello stesso governo che già controlla direttamente la tv privata di proprietà del presidente del Consiglio. Siamo, perciò, al doppio regime televisivo; al duopolio di regime; al regime assoluto dell'etere.

Ne abbiamo avuto l'ennesima riprova ieri, dai tg del pomeriggio e della sera, quando il titolo di testa è diventato il rassicurante "Non sono un santo", pronunciato da Silvio Berlusconi con una formula autoassolutoria che rivela in realtà tutta la spregiudicatezza e l'arroganza di chi si considera un impunito o un impunibile. Finora, però, i telegiornali domestici o compiacenti hanno accuratamente evitato di riferire agli italiani che cos'è accaduto in quei set a luci rosse, a Roma o in Sardegna, dove il presidente del Consiglio ha consumato le sue notti hard in compagnia di belle ragazze più che disponibili, ruffiani, traffichini e faccendieri, protetto dagli agenti dei servizi segreti, della Polizia di Stato o dai carabinieri.

È come mandare in onda il finale di un film, senza aver trasmesso il primo e il secondo tempo: nel caso specifico, significa dare solo le notizie favorevoli e gradite al premier, dopo aver tentato di liquidare la vicenda con la giustificazione che si trattava di gossip o di questioni private. Un'informazione parziale, incompleta, a senso unico; subalterna al potere politico; suddita del governo.

A Berlusconi, insomma, viene concesso di replicare e difendersi da accuse che i telespettatori non conoscono bene o non conoscono affatto, se non leggono abitualmente i giornali italiani e quelli stranieri. Così la sua autocertificazione di empietà rischia perfino di apparire incomprensibile alle orecchie di tanti cittadini ignari e teledipendenti che non hanno assistito alle puntate precedenti o ne sono stati informati in modo parziale e distorto dai tg di regime. E pensare che otto elettori su dieci si formano un'opinione proprio attraverso la "disinformatia" a reti unificate.

È troppo pretendere che almeno i telegiornali del servizio pubblico rispettino più rigorosamente la propria funzione istituzionale? Lo "spoil system" al vertice delle reti e delle testate giornalistiche della Rai, vagheggiato dal vice-ministro delle Comunicazioni Paolo Romani e avallato entro certi limiti anche dal presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli, non può degenerare evidentemente in un'occupazione "manu militari" della tv pubblica. Per ora non si vedono carri armati intorno al palazzo a vetri di viale Mazzini, ma già si percepiscono i segnali inquietanti di un'offensiva mediatica che minaccia di compromettere definitivamente la legittimità del servizio pubblico e soprattutto la stabilità della vita democratica.

#783
Da unto del Signore a non sono santo
Quando Berlusconi parla di Santità

+ Da "Unto del Signore" a "Non sono santo",
Quando Silvio Berlusconi parla di Santità




Dal 1994 il Cavaliere ha fatto spesso
riferimenti alla sfera religiosa nel
tentativo di sdrammatizzare
ROMA
«Non sono un santo, speriamo lo capiscano anche quelli di Repubblica», dice Silvio Berlusconi alludendo al clamore scaturito dalle registrazioni di Patrizia D’Addario. Dalla sua ’discesa in campò , nel 1994, più volte il Cavaliere è ricorso ironicamente a riferimenti alla santità ed alla divinità per parlare, sdrammatizzandola, della sua attività di politico.


Sono un santo
Proprio »un santo« Berlusconi si era definito, il 10 luglio 2008, salutando i cronisti che lo aspettavano di sera sotto palazzo Grazioli al suo rientro dal G8 di Tokyo. »Andatevi a godere la notte. Io ormai sono un santo«, aveva detto loro con un sorriso prima di andare a riposare.

L'unto del Signore
Era il 25 novembre del 1994 quando Berlusconi, alla convention dell’Udc, diceva, facendo riferimento a se stesso: »Sarebbe veramente grave che qualcuno che è stato scelto dalla gente, l’unto dal Signore, perchè c’è qualcosa di divino dall’essere scelto dalla gente, possa pensare di tradire il mandato dei cittadini«. Quella frase il Cavaliere ha più volte smentito di averla detta. L’ultima nel 2006 in una intervista a ’Newsweek’; ma anche alla Confcommercio, dicendo: »Semmai ci unge il popolo, qualche volta ci unge, qualche volta va peggio...«.

Il Gesù Cristo della politica
Era una fredda notte di febbraio del 2006 quando, parlando a una platea di imprenditori di Ancona, Berlusconi si sfogò per gli attacchi a lui riservati dalla magistratura: »Io sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, paziente, sopporto tutto, mi sacrifico per tutti«. Altro riferimento a Gesù il Cavaliere lo fece nella conferenza stampa di chiusura del G8 di Genova raccontando l»ultima cenà del vertice. «I giornali titoleranno domani: Berlusconi si crede anche Gesù Cristo...», disse ironicamente.

Con Udr sbagliai come Cristo con Giuda«Anche Gesù ebbe tra i suoi apostoli un traditore, e noi non siamo più bravi di Gesù...», diceva Berlusconi riferendosi ai «traditori» del centrodestra passati all’Udr, il partito di Cossiga, consentendo la nascita del governo D’Alema.

Sinite Parvulos
Una citazione evangelica, una battuta e un pò di autoironia: Silvio Berlusconi usa questi ingredienti quando, durante una visita al Nuraghe Losa per la campagna elettorale in Sardegna, per far avvicinare due bambini. «Lasciate che i pargoli vengano a me», disse il presidente del Consiglio in tono scherzoso per consentire ai due giovanissimi sostenitori di avvicinarlo per una foto. E poi, scherzando dopo aver dato un’occhiata ai giornalisti presenti: «Adesso mi diranno che mi paragono a Gesù...».

L'uomo della Provvidenza
Stavolta Berlusconi cita la definizione che di lui diede don Luigi Giussani, il fondatore di Cl. «Don Giussani mi disse: ’Il destino ti ha fatto diventare l’uomo della Provvidenzà, racconta al Meeting di Rimini.

#784
LA STAMPA
In Curia silenzio, ma c'è chi legge un primo passo nella frase di Silvio
GIACOMO GALEAZZI
CITTA' DEL VATICANO
Ufficialmente nessuna reazione, però nei Sacri Palazzi la battuta di Silvio Berlusconi («non sono un santo») è stata accolta come una positiva inversione di tendenza nella strategia difensiva del premier, quasi un «mea culpa» comunicativo. «Di fronte agli scandali aveva sempre rivendicato la propria condotta: “Agli italiani piaccio così” - evidenziano in Curia -. Per la prima volta, sia pure con una frase scherzosa e autoironica, Berlusconi ammette di non aver avuto un comportamento impeccabile. E’ un primo segnale nella giusta direzione». Non è ancora il chiarimento richiesto dal giornale dei vescovi, «Avvenire», però è un «piccolo passo», una presa di coscienza gradita Oltretevere.

Al «no comment» del portavoce vaticano, padre Lombardi, del giornale Cei e degli ecclesiastici più attenti alle vicende politiche come il cappellano di Montecitorio, Fisichella e l’assistente dell’Azione cattolica, Sigalini, corrisponde, dietro le quinte, una favorevole interpretazione delle parole del premier perché «la Chiesa non giudica le persone, ma i comportamenti e auspica sempre un ravvedimento personale». Nella bufera scoppiata da settimane attorno alle frequentazioni del presidente del Consiglio, la Segreteria di Stato continua a mantenere un atteggiamento cauto.

Significativamente l’Osservatore romano e Radio Vaticana non hanno mai rilanciato «boatos» e polemiche in arrivo dall’altra sponda del Tevere. «Andrà in pellegrinaggio da Padre Pio, trascorrerà agosto tra i terremotati dell’Aquila invece che in Sardegna, venderà Villa Certosa. Certo non è De Gasperi e non servivano questi ultimi tempi per scoprirlo, però Berlusconi dal G8 in poi sta mostrando maggiore saggezza e prudenza», commenta un ministro vaticano. «Ammettere i propri limiti chiamando in causa la santità» non esprime uno «sberleffo alla fede, bensì l’acquisita consapevolezza di averci messo del suo e di aver prestato il fianco ad attacchi e strumentalizzazioni attraverso abitudini di vita tutt’altro che irreprensibili».

Il ministro Gianfranco Rotondi, cattolico «doc», esulta per il fatto che i vertici della Chiesa «abbiano colto il senso evangelico della frase di chi umilmente si dichiara inferiore alle aspettative che Dio ha per ciascuno di noi». E aggiunge: «Chi non si definisce peccatore contraddice il Vangelo. Il premier sa di aver fatto cose buone, quasi sante accanto ad altre meno edificanti e non ha mai nascosto la passione per le belle donne».

In 15 anni di politica Berlusconi si è spesso riferito alla santità e alla divinità per parlare, sdrammatizzandola, della sua attività («unto del Signore», «con Udr sbagliai come Gesù con Giuda», «lasciate che i pargoli vengano a me», «Io sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, paziente, sopporto tutto, mi sacrifico per tutti», «Don Giussani mi disse: Il destino ti ha fatto diventare l’uomo della Provvidenza»). E poi «ormai sono un santo, andate voi a godervi la notte», scherzò coi cronisti al ritorno dal G8 di Tokyo. «Ora Berlusconi dichiara tranquillo: "Non sono un santo!" - puntualizza il teologo Gianni Gennari -. Intanto molti avversari come l’Unità pretendono che Chiesa, preti, vescovi e addirittura il Papa condannino pubblicamente il "non santo" capo del governo. Un po’ di anticlericalismo fa bene anche alla Chiesa e la aiuta ad essere fedele a Gesù, ma questo clericalismo degli anticlericali è davvero ridicolo».

Tanto più, sottolinea Gennari, «che a volere una condanna pubblica e clamorosa di Berlusconi sono gli stessi che forniscono agli italiani istruzioni per cancellarsi dai registri parrocchiali della Chiesa cattolica». E che quotidianamente «invocano l’aria aperta del progresso e della libertà e lanciano appelli per lasciare la fede ai bigotti arretrati rimasti all’oscurantismo medievale e seguaci di questo Papa mezzo inquisitore e mezzo antimoderno». Attenti, però, a «sbandierare pellegrinaggi devozionali con la testa coperta di cenere» ed espiazioni targate Padre Pio «severissimo in vita con i penitenti non troppo convinti interiormente di voler cambiare vita e più propensi ai buoni proponimenti di facciata che ai reali mutamenti di rotta nella sfera morale».

E proprio ieri, in un convegno, il ministro dell’Economia, Tremonti, si è confrontato con l’arcivescovo Fisichella sull'enciclica sociale. «È una guida per la politica - puntualizza Giulio Tremonti -. Non basta l’illusione dell’autosufficienza, è necessario un impegno nella coscienza per il bene comune della società».

#785
Figlio del giudice costituzionale a capo dell'Aviazione Civile
di Claudia Fusani La storia è questa: un avvocato di 44 anni è promosso alla guida di un importante ente pubblico mentre il padre, giudice, è impegnato in una decisione assai delicata che riguarda il ministro che ha proposto e ottenuto la nomina del figlio. Probabilmente si tratta solo di una coincidenza, uno di quegli incroci temporali che neppure il diavolo riuscirebbe a mettere in piedi. Probabilmente. E al bando i maligni, chi ci vuole vedere altro, piani e strategie. Magari scambi di favori, ohibò. E però la storia va raccontata tutta. Per filo e per segno. Il 4 di giugno l’avvocato Alessio Quaranta, 44 anni, sposato, due figli, professionista stimato, un curriculum segnato dai ruoli dirigenziali all’interno dell’Enac, diventa n°1 dell’Ente nazionale di aviazione civile, l’organismo che decide tutto in materia di voli, aeroporti e licenze e sicurezza. Insomma, un Signor incarico. La nomina di Quaranta viene fatta dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro competente, Altero Matteoli ( Trasporti). Un paio di settimane dopo, anche se i giornali ne parlano solo il 9 luglio, succede che un altro Quaranta, Alfonso padre di Alessio e giudice della Corte Costituzionale, partecipa al voto che in qualche modo “assolve” proprio il ministro Matteoli dall’accusa di favoreggiamento. Qui serve una parentesi. Perchè c’è una storia nella storia. Nel 2004 il ministro Matteoli è accusato di favoreggiamento dalla procura di Livorno per aver avvisato il prefetto di un’indagine a suo carico per presunti abusi edilizi relativi alla costruzione di un residence all’isola d’Elba. All’epoca Matteoli è ministro dell’Ambiente e in quanto tale chiede alla Giunta per la autorizzazioni a procedere di deliberare che «i fatti a lui ascritti siano dichiarati attinenti alle sue funzioni ministeriali». Nel frattempo il tribunale di Livorno, dopo che il Tribunale dei ministri di Firenze si era spogliato del procedimento perchè non si trattava di reato ministeriale, rinvia a giudizio il ministro per favoreggiamento. Matteoli si oppone, investe della questione la Giunta della camera che solleva il conflitto di attribuzione di poteri presso la Corte Costituzionale. La quale, e torniamo a oggi, decide di rinviare tutto alla Giunta della Camera. Ma quella della Consulta non è stata una decisione serena. Anzi. E’ stata presa a maggioranza - è ipotizzabile una conta di 8 sì e sette no - e ha registrato la contrarietà del vicepresidente della Corte Ugo De Siervo che, pur essendo il relatore, non scriverà le motivazioni di una scelta che non condivide. Non si capisce infatti come possa essere una prerogativa ministeriale avvisare una persona di essere sotto inchiesta. E’ un fatto che la decisione della Corte sta facendo molto discutere nel merito. E inquieta sapere che uno di quei giudici che hanno deciso, in un modo o nell’altro, su una sorta di Lodo Matteoli, è il padre di un professionista che lo stesso Matteoli ha appena promosso. Coincidenze. E malignità. Nulla di più. Che però non finiscono qua. Infatti l’ex dg di Enac, Silvano Manera, ex comandante di Alitalia, è candidato a diventare consulente dello stesso ministro Matteoli. Insomma, tutti contenti e nessuno a piedi.Il caso Matteoli slitta a settembre. Sarà la Camera a decidere se il reato è ministeriale o meno. Resta aperto il caso Consulta: dopo la cena a casa del giudice Mazzella con il premier, il sottosegretario e il ministro della Giustizia, arriva ora il caso Matteoli-Quaranta. E a ottobre, sempre la Consulta, dovrà decidere sulla costituzionalità del Lodo Alfano. In pratica se processare il premier oppure no.(L'UNITA')

#786
Corriere
Il premier torni a fare il premier
Irumori di fondo ri­mangono. Ma appaio­no un po’ indeboliti dall’assuefazione alla vita privata assai poco san­ta del presidente del Consi­glio; e soprattutto bilancia­ti e sovrastati da problemi politici ed economici me­no vistosi e più seri per il futuro del governo. Per Sil­vio Berlusconi le tensioni possono venire da lì. Si comprende la sua tesi se­condo la quale il resto gli scivola addosso come ac­qua. La crisi, però, promet­te di rimanergli attaccata e di logorarlo, se non la af­fronta con dedizione anco­ra maggiore.

Finora, il premier ha da­to l’impressione di occu­parsene con uno sguardo distratto dall’esigenza di difendersi sul piano perso­nale e a livello internazio­nale. Ma può diventare un’ubiquità impossibile. L’opinione pubblica si aspetta una concentrazio­ne sulle emergenze vere e un impegno costante, pa­ziente, fattivo: una presen­za anche fisica del pre­mier che privilegi simboli­camente più palazzo Chigi e meno palazzo Grazioli, a Roma; e più L’Aquila e le zone terremotate e meno le ville da sogno e da gos­sip in Sardegna. È probabi­le che Berlusconi ritenga di fare già il massimo.

Il richiamo reiterato a quelli che chiama i «mira­coli » del governo riflette un’autopercezione quasi religiosa della propria lea­dership .

Il controllo sulla maggioranza, tuttavia, è intermittente. Un centro­destra tagliato su misura per lui, tende a smagliarsi e ad entrare in sofferenza appena Berlusconi ha la te­sta altrove o comunque non è presente. Le frizioni fra governo e presidenza della Camera sui decreti d’urgenza e sulla fiducia, il conflitto fra palazzo Chi­gi e spinte localiste, e il nervosismo fra ministri sono indizi di una pulsio­ne centrifuga.

Si tratta di fenomeni cir­coscritti quando prevalgo­no le capacità berlusconia­ne di amalgamare interes­si contrastanti; sull’orlo dello strappo politico, in­vece, se vengono lasciati lievitare senza mediazio­ne. Il risultato è un senso di precarietà attribuibile per intero alla maggioran­za; e giustificato ma non compensato dalla debolez­za che l’opposizione dimo­stra in questa fase. L’assen­za di alternative provoca una sicurezza a doppio ta­glio. Accentua l’illusione di poter procedere senza veri pericoli di caduta. E trascura il rischio del logo­ramento, perfino più insi­dioso.


Forse, archiviare con nettezza una stagione e iniziarne un’altra con me­no miracoli e distrazioni, e maggiore assiduità nel lavoro governativo, non sarebbe male. Può darsi non basti a invertire una parabola discendente che gli avversari sembrano da­re per inevitabile, e alcuni alleati di Berlusconi intra­vedono e temono. Servi­rebbe però a rassicurare il Paese sulla volontà di fare il possibile per aggredire la crisi economica e argi­narne i probabili contrac­colpi autunnali: magari co­minciando proprio con un «piccolo summit» del governo in Abruzzo, luo­go- simbolo delle promes­se da mantenere e da non deludere.




Massimo Frani

#787
Quattro domande sul premier, vere
Ho aspettato qualche giorno per capire meglio cosa stia accadendo con le registrazioni audio che "L'Espresso" pubblica quotidianamente sul sito. Il primo sentimento è francamente di orrore: l'idea di pubblicare conversazioni intime tra due persone, senza alcuna ipotesi di reato vuol dire assecondare Patrizia D'Addario, che sta mettendo in opera un meccanismo ricattatorio. E fin qui, credo che nessuno possa obbiettare nulla.
Peccato però che la persona ricattata e diffamata sia niente di meno che il presidente del Consiglio dei ministri. Il punto non è che Berlusconi abbia una sua vita privata e sessuale, perché su questo lui ha poi buon gioco a dichiarare che "non è un santo" e che in "giro ci sono molte belle figliole". Il punto è che un uomo del suo livello e con il suo ruolo non può in alcun modo lasciarsi ricattare, e addirittura registrare, da una escort presentatagli da un venditore di protesi sanitarie in quel di Bari, tra l'altro inquisito per traffico di droga.
In qualsiasi paese civile e democratico, le registrazioni di una escort, e le eventuali fotografie, sarebbero finite, prima che sui giornali, sul tavolo del presidente del Consiglio, con una preghiera: o il premier si dimette entro un mese, oppure le foto si pubblicano. E il premier si dimette ovviamente. Da noi non accade. E Berlusconi sembra non vergognarsi affatto di quello che è uscito. Anzi dice che queste registrazioni finiranno per ritorcersi contro chi le pubblica.
Temo, e sottolineo temo, abbia ragione. Se non passa l'idea del pericolo per le istituzioni, anziché quella di un problema morale tentennante, rischiamo che alla fine i simpatizzanti del centro destra troveranno persino vergognoso sbattere alla berlina un uomo importante, mettendo nero su bianco le registrazioni di una donna, nota a Bari perché inseguiva la moglie e i figli del suo ex amante gridando: "ti taglio la faccia".
Il problema non è cosa fa a letto, con quante e perché lo fa, Silvio Berlusconi, e neppure, paradosso, se l'avesse pagata come escort, visto che la legge punisce lo sfruttamento della prostituzione. E al massimo multa i clienti. Il punto è che un capo del governo che fa entrare a casa sua un numero di donne incontrollato, delle quali non sa nulla, con registratori ed altro, che hanno deciso di ricattarlo in tutti i modi, mette in pericolo la sicurezza dello Stato. Invece prevale uno scontato moralismo unito a un gusto per il gossip poco elegante, se a farlo sono giornali importanti e non dei tabloid del pomeriggio. Perché le domande vere, in questi giorni sono altre.
La prima: chi è davvero Patrizia D'Addario?
La seconda: come mai Veronica Lario tace e non rilascia alcuna dichiarazione? A che punto è il divorzio tra il premier e sua moglie? Esistono dei problemi, qualcosa si è inceppato? E se sì, perché?
La terza: per quale motivo Gianni Letta, vera eminenza grigia di questo Governo, è completamente scomparso, e non appare più? Tenendo conto che è il futuro candidato del centro destra alla carica di presidente della Repubblica, quando scadrà il mandato di Napolitano.
La quarta: che rapporto c'è tra le polemiche di questi giorni sull'assassinio di Borsellino, le sorprendenti parole del boss Toto Riina ("Lo hanno ammazzato loro", riferite a Borsellino) - che riaprirebbero fatti del 1992 e del 1993, che hanno visto il crollo della prima Repubblica e la immediata costruzione del partito di Berlusconi - e questa sorta di dissoluzione morale di un Berlusconi - Romolo Augustolo, registrato dalla D'Addario, fotografato per migliaia di volte da un reporter troppo libero di muoversi in zone coperte da segreto militare e infine raccontato da una famiglia napoletana, come i Letizia, con troppe omissioni e segreti?L UNITA'

#788
L'utopista distratto
Camilleri, ascolti: «Ancora universitario avendo tra le mani il libro di Tommaso Moro mi sono innamorato di Utopia e ho incominciato a sognare di costruire una città perfetta che si chiamasse così. Non ci sono riuscito ma progettando nuove unità urbane… ho tentato, sempre, di avvicinarmi il più possibile a un modello di città (un mio modello, senza colate di cemento, falansteri e automobili) che potesse essere, per i suoi abitanti, il teatro ideale per una vita più serena». Chi è l’autore? Non ci arriva? Silvio Berlusconi, nella prefazione, per il quinto centenario della nascita di Tommaso Moro (1978), al testo originale di Utopia. Lo capisce ora perché alla fine del G8 ha ricordato la «lucida follia» di Erasmo? Forse, è consapevole di essere mentalmente un po’ disturbato.

La storia di Berlusconi che, nel 1978, scrive l’introduzione all’Utopia di Tommaso Moro mi ha fatto venire in mente una battuta di Eduardo De Filippo che un giorno, registrando per la tv una sua commedia, si lamentò con un funzionario Rai per la scarsa competenza del regista.
Il funzionario: «Ma se ha persino scritto un libro sulla televisione!» Eduardo: «L’ha scritto, ma non l’ha letto». Infatti è risaputo che Berlusconi plagiò pagine e pagine dal libro di un noto studioso, Luigi Firpo. Del quale, anni fa, lessi un’intervista sull’episodio, dove raccontava di un Berlusconi che, quasi in lacrime, lo supplicava di non denunciarlo e gli prometteva successo e notorietà attraverso le sue tv. Sono convinto che Berlusconi non ha mai letto né l’introduzione da lui scritta, né il testo di Moro. Se avesse letto i due libri che costituiscono l’Utopia, avrebbe concordato con l’autore sull’abolizione della proprietà privata e sul fatto che l’oro e l’argento non avrebbero più avuto valore? Che il potere era delegato ai magistrati? Che
L'Unita'

#789
Steve....qui bisogna cambiare il titolo del 3D da "discussioni politiche" a "la rassegna stampa di kimikalli"...... :lol: :lol: :lol: :lol:
I have climbed highest mountain
I have run through the fields
Only to be with you
Only to be with you
I have run I have crawled
I have scaled these city walls
Only to be with you
But I still haven't found
What I'm looking for

#790
ROMA - Continua l'incantesimo di Villa La Certosa. O meglio, forse: il sortilegio, la stregoneria, il maleficio. In quest'ultima vicenda sepolcrale germinatosi dal terzo blocco di intercettazioni dell'escort Patrizia D'Addario, già maga illusionista, peraltro, e lettrice di oroscopi.

Perché nell'illustrare da par suo le video-meraviglie della sua villa sarda, e ancor più nello sforzo di far bella figura con le sue giovani amiche, il presidente Berlusconi ha rivelato di aver scoperto, "qua sotto", la bellezza di trenta tombe fenicie del 300 a. C. E non si può dire che la cosa sia passata inosservata.

All'immediata richiesta dell'opposizione di presentarsi, lui e il ministro dei Beni culturali Bondi, alla Camera e al Senato per riferire del presunto ritrovamento, si è infatti aggiunta la simultanea e comprensibile agitazione della comunità scientifica degli archeologi che mai si sarebbero immaginati una necropoli fenicia da quelle parti. Se confermata, la scoperta rappresenterebbe "un dato importantissimo per lo studio dell'espansione fenicia nell'isola, ed in particolare per la ricostruzione delle antiche dinamiche insediative nel territorio di Olbia" si legge in una nota della Associazione nazionale Archeologi.
Come dire che generazioni di studiosi si sono giocati la testa sull'origine greca e non fenicio-punica di Olbia: e adesso invece grazie alle confidenze del premier, opportunamente divulgate dai files audio della D'Addario, si potrebbe riscrivere la storia della Sardegna, aprendo nuovi importantissimi orizzonti nella ricerca nel mondo mediterraneo. A meno che nel corso dell'allegra festicciola il Cavaliere non abbia esagerato, o si sia confuso, o peggio ancora si sia inventato tutto, pure le tombe fenicie che a questo punto appaiono comunque destinate, in numero di trenta, a frastornare la vita pubblica con i più straniti riverberi.

Ma in questa atmosfera decisamente onirica la fantasia berlusconiana riserva sorprese a 360 gradi, costringendo gli osservatori a dividersi tra l'enigma archeologico-cimiteriale e il giallo del cosiddetto "lettone di Putin", che ieri un non meglio identificato portavoce del premier russo ha smentito al Times esser mai stato donato a Palazzo Grazioli. E anche qui non si capisce se l'ingombrante oggetto, che nell'immaginario si colloca al culmine della diplomazia dell'intimità, emblema del feticismo mobiliare e della smisurata voracità berlusconiana, risponda effettivamente alle caratteristiche che lo rendono tale. Per dire, ieri si è sparsa anche la voce che nel corso di una visita guidata a suo tempo il Cavaliere abbia vantato le ascendenze del lettone king size attribuendolo addirittura a Stalin (su cui, per la verità, la leggenda erotica è piuttosto scarsa). Vai a sapere.

A occhio, la vicenda delle tombe fenicie sembra più spinosa. Anche perché né alla Soprintendenza dei Beni archeologici né ai Carabinieri del Nucleo per la tutela del Patrimonio culturale risulta mai essere stato notificato alcun ritrovamento. Circostanza che la legge punisce con una certa severità, con l'arresto fino a un anno e l'ammenda da euro 310 a 3.099.

Vero è che la sterminata risorsa narrativa di villa la Certosa ha già chiamato su di sè anche duplice imposizione del segreto di Stato, pure sull'ipogeo (tunnel per lavori di sicurezza e poi anche per un misterioso laboratorio botanico), e in questo caso la scoperta della necropoli potrebbe essere stata segnalata direttamente al ministero dei Beni culturali. Ma adesso la grana c'è tutta, e pure bella stramba, e se si vuole addirittura con sinistre risonanze. Chissà se e quanto fanno piacere ai fenici che riposano "là sotto" gli spettacoli del Bagaglino per Putin, le finte eruzioni del vulcano artificiale, la rinomata pizzeria con la colonna sonora di Apicella, e la preclara gelateria, le auto elettriche, il farfallaio nabokoviano, le giostrine, le meteorine, le tartarughine, le ballerine di flamenco per non dire le feste di Gianpi, i sollazzi di Topolanek e gli agguati dell'infaticabile fotografo Zappadu. Tutto è possibile nell'aldilà, e magari i fenici - o più probabilmente i loro discendenti punici - si divertono un sacco. Ma certo esiste una letteratura e ancor più una vivida filmografia horror, da Zombie a Poltergeist passando per Shining - che attesta come in questi casi morti non gradiscano eccessi di vita. E magari il maleficio è già partito, anche se di solito sono faccende di cui non si riferisce in Parlamento.

#791
Bossi si ritira dall'Afghanistan
Umberto Bossi si è ritirato dall'Afghanistan. Ma il governo non lo sa ancora, non lo sanno gli alleati internazionali. Non è stato informato né Silvio Berlusconi e neppure il ministro degli esteri Franco Frattini. Probabilmente, nonostante il presidente degli Stati Uniti Barack Obama abbia insistito nel dire che quella è una guerra che non si può perdere, il governo italiano riporterà tutti a casa. Questa è una notizia che spacca finalmente il fronte del Governo. Che mette definitivamente in contrapposizione il Pdl, che esprime con il ministro della Difesa Ignazio La Russa una linea interventista e una grande lealtà nei confronti di tutti i paesi che sono assieme all'Italia in Afghanistan, con la Lega Nord, un partito determinante per gli equilibri della maggioranza.
Che la cosa sia seria, tra l'altro, è chiaro dalla personalità che è scesa in campo a sostenere questa tesi. Non Roberto Calderoli e neppure il ministro degli Interni Roberto Maroni, ma il leader indiscusso e carismatico della Lega, ovvero Umberto Bossi. Umberto Bossi ha detto testualmente: "Li riporterei tutti a casa, si spende troppo". È evidente che da parte della Lega c'è anche una polemica sui costi della missione, una preoccupazione così forte da far dichiarare a Bossi l'opportunità del ritiro dei nostri soldati in un momento particolarmente delicato: l'altro ieri sono stati feriti tre soldati italiani, anche se non sono in pericolo di vita, e ieri i nostri militari sono stato impegnati per cinque ore nella prima battaglia dell'offensiva di agosto contro i talebani.
La dichiarazione del leader della Lega, Umberto Bossi, inoltre arriva quasi contemporaneamente alla visita del ministro La Russa, in tuta mimetica, alle truppe italiane in Afghanistan, per incoraggiarle, e alle dichiarazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini, sul probabile uso, da parte dell'aeronautica militare, dei caccia Tornado. Probabilmente, il caso arriverà al consiglio dei ministri, e la situazione diventerà difficile. Nel caso Berlusconi ceda alla volontà del suo alleato influente, espressa dal suo leader, si aprirà a giorni un caso internazionale. Se invece la lealtà nei confronti di Washington, come di Londra prevarrà, è probabile che avremo le dimissioni dei ministri leghisti, con una difficile crisi di Governo, e il rischio di elezioni anticipate.
Post scriptum: questo è l'articolo che qualunque giornalista dotato di buon senso scriverebbe in un paese che non è l'Italia di fronte a una situazione del genere. Umberto Bossi ha dichiarato di voler portare i soldati a casa dall'Afghanistan in margine a una manifestazione di "Miss Padania". Dimenticandosi il ruolo che ricopre, con una irresponsabilità che rasenta il ridicolo. Non avverrà nulla di tutto quanto ho ipotizzato, perché la nostra è una Repubblica delle Benane, non un paese serio.

#792
kimikalli ha scritto:Bossi si ritira dall'Afghanistan
Umberto Bossi si è ritirato dall'Afghanistan. Ma il governo non lo sa ancora, non lo sanno gli alleati internazionali. Non è stato informato né Silvio Berlusconi e neppure il ministro degli esteri Franco Frattini. Probabilmente, nonostante il presidente degli Stati Uniti Barack Obama abbia insistito nel dire che quella è una guerra che non si può perdere, il governo italiano riporterà tutti a casa. Questa è una notizia che spacca finalmente il fronte del Governo. Che mette definitivamente in contrapposizione il Pdl, che esprime con il ministro della Difesa Ignazio La Russa una linea interventista e una grande lealtà nei confronti di tutti i paesi che sono assieme all'Italia in Afghanistan, con la Lega Nord, un partito determinante per gli equilibri della maggioranza.
Che la cosa sia seria, tra l'altro, è chiaro dalla personalità che è scesa in campo a sostenere questa tesi. Non Roberto Calderoli e neppure il ministro degli Interni Roberto Maroni, ma il leader indiscusso e carismatico della Lega, ovvero Umberto Bossi. Umberto Bossi ha detto testualmente: "Li riporterei tutti a casa, si spende troppo". È evidente che da parte della Lega c'è anche una polemica sui costi della missione, una preoccupazione così forte da far dichiarare a Bossi l'opportunità del ritiro dei nostri soldati in un momento particolarmente delicato: l'altro ieri sono stati feriti tre soldati italiani, anche se non sono in pericolo di vita, e ieri i nostri militari sono stato impegnati per cinque ore nella prima battaglia dell'offensiva di agosto contro i talebani.
La dichiarazione del leader della Lega, Umberto Bossi, inoltre arriva quasi contemporaneamente alla visita del ministro La Russa, in tuta mimetica, alle truppe italiane in Afghanistan, per incoraggiarle, e alle dichiarazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini, sul probabile uso, da parte dell'aeronautica militare, dei caccia Tornado. Probabilmente, il caso arriverà al consiglio dei ministri, e la situazione diventerà difficile. Nel caso Berlusconi ceda alla volontà del suo alleato influente, espressa dal suo leader, si aprirà a giorni un caso internazionale. Se invece la lealtà nei confronti di Washington, come di Londra prevarrà, è probabile che avremo le dimissioni dei ministri leghisti, con una difficile crisi di Governo, e il rischio di elezioni anticipate.
Post scriptum: questo è l'articolo che qualunque giornalista dotato di buon senso scriverebbe in un paese che non è l'Italia di fronte a una situazione del genere. Umberto Bossi ha dichiarato di voler portare i soldati a casa dall'Afghanistan in margine a una manifestazione di "Miss Padania". Dimenticandosi il ruolo che ricopre, con una irresponsabilità che rasenta il ridicolo. Non avverrà nulla di tutto quanto ho ipotizzato, perché la nostra è una Repubblica delle Benane, non un paese serio.
ma sono i soliti pagliacci di cui la politica italiana ne è piena .... Anche a sinistra rigordo un bel personaggio di nome Diliberto ... che si faceva vanto di dimostrare in piazza contro il governo nel quale lui stesso era presente .....

#793
Roby:MI ha scritto: ma sono i soliti pagliacci di cui la politica italiana ne è piena .... Anche a sinistra rigordo un bel personaggio di nome Diliberto ... che si faceva vanto di dimostrare in piazza contro il governo nel quale lui stesso era presente .....
Non era il solo a fare così, e questo è uno dei motivi per cui il secondo governo Prodi è caduto dopo un anno e mezzo, e perchè il primo è stato impallinato dopo due anni da Bertinotti & C (che poi si domandano perchè non hanno rappresentanti alla Camera, al Senato e al Parlamento Europeo....) :roll: :roll: :roll:
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#794
per una volta faccio l'editorialista anch'io..

posto questo articolo.. secondo me rischiamo + clandestinità di quella che finora avevamo:




Prato, allarme sui figli dei clandestini
"Diventeranno bambini invisibili"
I padri non possono fare la denuncia perché rischiano l'arresto per clandestinità
Le madri potrebbero ma dopo sei mesi corrono gli stessi rischi


di VLADIMIRO POLCHI

ROMA - Bambini invisibili. Neonati sottratti a ogni controllo di legalità e sconosciuti all'anagrafe. Migliaia di figli d'immigrati irregolari, senza identità. A lanciare nuovamente l'allarme sull'impossibilità per i genitori senza permesso di soggiorno di riconoscere i propri figli al momento della nascita è Giovanni Daveti, funzionario responsabile per gli affari che riguardano la comunità cinese alla prefettura di Prato. "Nel pacchetto sicurezza - spiega Daveti al Tirreno - è inserita una norma che obbliga i clandestini a mostrare il permesso di soggiorno negli atti di Stato civile. Attualmente non abbiamo alcuna circolare che ci spieghi come comportarci nel dettaglio: dall'8 agosto, quando entrerà in vigore la legge, noi avremo neonati che non potranno essere riconosciuti dai genitori, se entrambi clandestini. L'unica via praticabile sembra quella di affidarli ai servizi sociali. Solo nei primi sei mesi del 2009 a Prato sono nati 412 bambini in questa condizione".

Al centro della polemica torna dunque la nuova legge sulla sicurezza. In particolare l'articolo 1 comma 22, lett. G, che introduce l'obbligo per il cittadino straniero di esibire il permesso di soggiorno in sede di richiesta di provvedimenti riguardanti gli atti di stato civile, tra i quali sono inclusi anche gli atti di nascita. Vengono invece esclusi da quest'obbligo gli atti "inerenti all'accesso alle prestazioni sanitarie e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie". Insomma almeno il pericolo di medici-spia e presidi-spia è stato scongiurato.

Rimane il fatto che l'ufficiale dello stato civile non potrà ricevere la dichiarazione di nascita né di riconoscimento del figlio naturale da parte di genitori stranieri privi di permesso di soggiorno.

Qui interviene però il Testo unico sull'immigrazione (articolo 19, Divieti di espulsione e di respingimento), che prevede permessi di soggiorno per maternità, ovvero concessi alle donne irregolari che, essendo incinte, hanno bisogno di essere sottoposte a cure e visite mediche. Tale permesso di soggiorno copre l'intera durata della gravidanza e i primi sei mesi di vita del bambino, non consente di lavorare e non è rinnovabile né convertibile. Ciò significa che allo scadere del tempo previsto dal permesso di soggiorno, la madre ritorna ad essere una irregolare unitamente a suo figlio che, però, ha il diritto di andare a scuola e di essere curato.

Dunque: la madre irregolare potrà denunciare la nascita di un figlio, in quanto titolare di questo permesso di soggiorno per sei mesi. Chiaro? Non proprio. Anche questa possibilità ha dei limiti. "Primo - spiega Marco Paggi, avvocato dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione - il permesso speciale spetta solo alla madre e non anche al padre naturale, che se irregolare non potrà denunciare il proprio figlio. Secondo, il permesso di soggiorno per cure mediche raramente viene dato a una madre in assenza di un alloggio: dunque le donne senza domicilio potrebbero rimanere nella clandestinità. Terzo, chiedendo questo permesso di soggiorno speciale, le donne incinta si autodenunciano, con il rischio di venire espulse dopo i sei mesi. Tutto questo rende di fatto l'anagrafe vietata ai genitori irregolari".
Non solo. Secondo Giovanni Daveti ottenere il permesso di soggiorno temporaneo per le donne in stato di gravidanza sarà molto più difficile. "Fino ad oggi - sostiene - una donna andava dal medico e si faceva fare un certificato dove si diceva che aspettava un bambino. Questo consentiva di avere un permesso di soggiorno in genere di 6 mesi. Oggi con i medici che possono denunciare i clandestini questa prassi sarà molto più difficile. Per le donne sarà un rischio troppo alto".

ho come l'impressione che questa norma provocherà un grosso aumento di cliniche illegali.. :roll:
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Questo è il nostro segreto profondo: il tuo cuore lo porto con me, lo porto nel mio. <3

#795
loremir77 ha scritto:per una volta faccio l'editorialista anch'io..

posto questo articolo.. secondo me rischiamo + clandestinità di quella che finora avevamo:




Prato, allarme sui figli dei clandestini
"Diventeranno bambini invisibili"
I padri non possono fare la denuncia perché rischiano l'arresto per clandestinità
Le madri potrebbero ma dopo sei mesi corrono gli stessi rischi


di VLADIMIRO POLCHI

ROMA - Bambini invisibili. Neonati sottratti a ogni controllo di legalità e sconosciuti all'anagrafe. Migliaia di figli d'immigrati irregolari, senza identità. A lanciare nuovamente l'allarme sull'impossibilità per i genitori senza permesso di soggiorno di riconoscere i propri figli al momento della nascita è Giovanni Daveti, funzionario responsabile per gli affari che riguardano la comunità cinese alla prefettura di Prato. "Nel pacchetto sicurezza - spiega Daveti al Tirreno - è inserita una norma che obbliga i clandestini a mostrare il permesso di soggiorno negli atti di Stato civile. Attualmente non abbiamo alcuna circolare che ci spieghi come comportarci nel dettaglio: dall'8 agosto, quando entrerà in vigore la legge, noi avremo neonati che non potranno essere riconosciuti dai genitori, se entrambi clandestini. L'unica via praticabile sembra quella di affidarli ai servizi sociali. Solo nei primi sei mesi del 2009 a Prato sono nati 412 bambini in questa condizione".

Al centro della polemica torna dunque la nuova legge sulla sicurezza. In particolare l'articolo 1 comma 22, lett. G, che introduce l'obbligo per il cittadino straniero di esibire il permesso di soggiorno in sede di richiesta di provvedimenti riguardanti gli atti di stato civile, tra i quali sono inclusi anche gli atti di nascita. Vengono invece esclusi da quest'obbligo gli atti "inerenti all'accesso alle prestazioni sanitarie e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie". Insomma almeno il pericolo di medici-spia e presidi-spia è stato scongiurato.

Rimane il fatto che l'ufficiale dello stato civile non potrà ricevere la dichiarazione di nascita né di riconoscimento del figlio naturale da parte di genitori stranieri privi di permesso di soggiorno.

Qui interviene però il Testo unico sull'immigrazione (articolo 19, Divieti di espulsione e di respingimento), che prevede permessi di soggiorno per maternità, ovvero concessi alle donne irregolari che, essendo incinte, hanno bisogno di essere sottoposte a cure e visite mediche. Tale permesso di soggiorno copre l'intera durata della gravidanza e i primi sei mesi di vita del bambino, non consente di lavorare e non è rinnovabile né convertibile. Ciò significa che allo scadere del tempo previsto dal permesso di soggiorno, la madre ritorna ad essere una irregolare unitamente a suo figlio che, però, ha il diritto di andare a scuola e di essere curato.

Dunque: la madre irregolare potrà denunciare la nascita di un figlio, in quanto titolare di questo permesso di soggiorno per sei mesi. Chiaro? Non proprio. Anche questa possibilità ha dei limiti. "Primo - spiega Marco Paggi, avvocato dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione - il permesso speciale spetta solo alla madre e non anche al padre naturale, che se irregolare non potrà denunciare il proprio figlio. Secondo, il permesso di soggiorno per cure mediche raramente viene dato a una madre in assenza di un alloggio: dunque le donne senza domicilio potrebbero rimanere nella clandestinità. Terzo, chiedendo questo permesso di soggiorno speciale, le donne incinta si autodenunciano, con il rischio di venire espulse dopo i sei mesi. Tutto questo rende di fatto l'anagrafe vietata ai genitori irregolari".
Non solo. Secondo Giovanni Daveti ottenere il permesso di soggiorno temporaneo per le donne in stato di gravidanza sarà molto più difficile. "Fino ad oggi - sostiene - una donna andava dal medico e si faceva fare un certificato dove si diceva che aspettava un bambino. Questo consentiva di avere un permesso di soggiorno in genere di 6 mesi. Oggi con i medici che possono denunciare i clandestini questa prassi sarà molto più difficile. Per le donne sarà un rischio troppo alto".

ho come l'impressione che questa norma provocherà un grosso aumento di cliniche illegali.. :roll:
In una città come Prato (ma succederà anche in altre città dove possono esserci nuclei consistenti di determinate etnie) capiterà, oltre all'aumento di lavoro per le cliniche illegali (che ci sono, e non penso ce ne siano poche):

a) parti clandestini: in fabbrica, accanto ai macchinari e ai giacigli per dormire, anche un posto dove partorire nel minimo ingombro e con la minor salute possibile

b) fioriranno gli immigrati regolari che dichiareranno, dietro compenso, di essere genitori di bimbi nati da genitori che in forza delle suddette norme di legge non possono dichiararne la paternità...
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