il suicidio cambia valore sociale a seconda della società in cui viviamo.
La nostra società è una società di stampo cattolico e noi siamo immersi, volenti o nolenti, in una spiritualità cattolica che determina il nostro modo di pensare.
La "via cattolica" insegna che il dolore è espiazione, che se soffri è giusto che soffri perchè il signore ti sta regalando la possibilità di espiare il tuo peccato tramite la sofferenza. Viviamo in una società che si basa sul concetto di dolore espizione assoluzione, quindi partiamo dal presupposto che se uno rifugge il dolore non accetta il suo cammino di "espiazione" e quindi resta colpevole nel suo peccato (chissà poi quale....)
Ergo chi si suicida è "colpevole" e "sbaglia" perchè ha scelto di non soffrire.
questo è uno dei tanti motivi per cui in Italia si fa un uso (a mio avviso) "anti-umano" della terapia del dolore. In Italia, la terapia del dolore con oppiacei viene applicata circa 100 volte meno rispetto agli Stati Uniti. Perchè il dolore è visto come positivo e fuggirne è visto come un atto di vigliaccheria, non voler afrontare la propria espiazione.
Questo, per quanto lo possiate rifiutare dicendo "figuriamoci se mi faccio condizionare da queste cose, io che non vado neanche in chiesa!!" è invece palese se si osserva il problema da un altro punto di vista: Nelle società non-cattoliche il suicidio è visto come una morte assolutamente onorevole ed auspicabile, in quanto si tratta di un gesto "deciso e motivato", frutto di una decisione sofferta e i un incredibile atto di coraggio. La morte auto-procurata, in Giappone ad esempio, Nazione di stampo tutt'altro che Cristiano, è stata la morte più onorevole possibile fino al 1800, quando gli Inglese invasero il porto di Edo e i missionari cominciarono a inculcare la dottrina Cristiana in gente che non ne aveva concetto.... da quel momento il suicidio ha perso il suo significato nobile (almeno per i convertiti).
#9901
Ultima modifica di cyberjack il 17/02/10 11:22, modificato 1 volta in totale.
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