Razzismo (2 articoli di Espresso e Repubblica
Inviato: 12/10/07 11:15
Sono basito... io non approvo alcuna forma di razzismo, sebbena possa comprendere alcune delle ragioni che spingono talune persone a manifestare un odio indiscriminato verso specifiche etnie...
Ma ci sono alcune cose che non riesco minimamente a concepire:
I BRAVI RAGAZZI ITALIANI Da Espresso:
Festa nel lager naziskin a Dachau
di Paolo Tessadri
Giovani da Bolzano nei campi di concentramento SS, per gridare 'Sieg heil'. O per farsi ritrarre con l'accendino sotto le immagini delle sinagoghe bruciate. In esclusiva le foto del 'turismo dell'Olocausto'
Sono l'avanguardia dell'orrore, quella capace di superare ogni limite. Nazisti pronti all'insulto più estremo, all'oltraggio di qualunque memoria. Eccoli, fare il saluto hitleriano davanti al cippo che ricorda il forno crematorio di Dachau. Mettersi in posa compiaciuti accanto a quella scritta agghiacciante 'Arbeit macht frei' sul cancello che migliaia di ebrei hanno varcato una sola volta. Poi mostrare le loro magliette con le machine-pistol usate dai guardiani per abbattere chi non obbediva ciecamente agli ordini. E sfoggiare le t-shirt con la sagoma delle SS davanti al monumento ispirato dall'intreccio dei corpi scheletrici nelle fosse comuni. Istantanee di una gita che incenerisce i confini della decenza, scattate per renderle oggetto di culto tra i camerati, come per dimostrare un primato ideologico: avere inneggiato al führer del Terzo Reich nel luogo dove l'Olocausto venne concepito. Dachau, a pochi chilometri da Monaco di Baviera, è il primo lager, quello in cui furono rinchiusi gli ebrei catturati nella 'Notte dei cristalli' e gli oppositori del regime, quello usato per sperimentare il genocidio.
Le foto che 'L'espresso' pubblica in esclusiva sono state sequestrate dai carabinieri del Ros di Bolzano durante un'inchiesta sui naziskin altoatesini. Erano conservate da alcune delle persone ritratte, che le esibivano con orgoglio ai loro accoliti. I sette camerati ripresi nelle immagini hanno patteggiato condanne comprese tra 12 e 30 mesi di carcere: l'ultima sentenza risale a poche settimane fa. Ma ai fini della pena questo reportage incredibile non ha avuto effetti: per il codice penale italiano il turismo dello sterminio non ha rilevanza. Nemmeno la legge Mancino, quella creata nel 1991 per porre freno all'ondata montante di razzismo, ha ipotizzato un tale baratro di disprezzo. Il procuratore capo Cuno Tarfusser e il pm Axel Bisignano nel sostenere l'accusa contro la banda di gitanti a Dachau non hanno potuto far pesare quello sfregio alla Memoria. Eppure il fenomeno dei tour nazisti è in crescita costante: dai luoghi hitleriani classici si passa sempre più spesso a incursioni antisemite. Che precipitano dalla goliardia alla vergogna.
Come definire altrimenti la foto, sequestrata dal Ros nella stessa operazione, che ritrae i due naziskin con l'accendino in mano sotto la lapide che ricorda la prima sinagoga incendiata in Germania durante la 'Notte dei cristalli'? In quella vacanza a Potsdam, in Brandeburgo, nel luogo del primo assalto delle camicie brune, la formazione è la stessa. Sono sette italiani dell'Alto Adige, inquadrati come militari, capeggiati dal 'comandante' Armin Sölva e dal suo vice Christoph Andergassen. Hanno dai 18 ai 26 anni e nonostante le sentenze restano a piede libero.
L'organizzazione di Sölva e Andergassen è la Südtiroler Kameradschaftsring per la lotta di liberazione del Sudtirolo, con tanto di statuto messo nero su bianco: tra gli obiettivi, l'istigazione all'odio razziale e la venerazione di Hitler e ai suoi gerarchi. Una fede malvagia celebrata, secondo i risultati delle indagini, con minacce, pestaggi e devastazioni. Che li trasforma nell'avanguardia di una rete nera che attraversa l'Europa e che vede sfilare fianco a fianco camerati di ogni paese, spesso divisi da questioni etniche, come accade tra sudtirolesi e italiani, ma pronti a fare fronte comune con il braccio teso.
Identici gli slogan, testimoniati anche dalle magliette indossate nel lager bavarese. In una foto si vede Armin Sölva inginocchiato, mani giunte in atto di ringraziamento per lo sterminio, nella cappella che ricorda i 3 mila sacerdoti cattolici deportati. In un'altra, due camerati entrano nell'edificio centrale del campo dove è allestita la mostra sul Terzo Reich e in tenuta da skinheads posano sorridenti davanti alla grande scritta SS. Altri due compaiono vicini a una celebre frase della propaganda del Reich: 'Unsere Letzte Hoffung. Hitler' (la nostra ultima speranza: Hitler). Indossano t-shirt con l'immagine di un soldato tedesco e di supporter di estrema destra, sempre dentro il campo di Dachau. Poi di spalle, piegati, con l'immagine di un mitragliatore su una t-shirt e sull'altra la scritta 'Siamo dei criminali convinti', spingono giù il cippo di marmo eretto dove sorgevano i forni crematori. In un'altra immagine due del gruppo si mettono davanti al muro di cinta, sono ai lati di un cartello che indica la linea oltre la quale le guardie sparavano sui deportati: Il lager, un monumento che dovrebbe essere tutelato in nome dell'intera umanità, appare incustodito. Nessuno ferma questi giovani altoatesini dal look inconfondibile. Si sono mossi indisturbati per ore, padroni del campo di sterminio dove non è stato nemmeno possibile stabilire un bilancio del massacro: dei 206 mila reclusi registrati, almeno 43 mila persero la vita. Ma si ritiene che molti deportati non venissero segnati nella contabilità del genocidio e che negli ultimi mesi del 1945 malattie e denutrizione fossero più letali delle SS: gli americani scoprirono 39 vagoni ferroviari colmi di cadaveri spettrali. Un inferno, che adesso serve come fondale per le foto-trofeo dei 'figli del Führer'.
Le trasferte in Germania e in Austria del gruppo altoatesino non servono solo per il turismo dell'orrore: sono fondamentali per consolidare i legami con le altre formazioni di estrema destra. I carabinieri dei Ros hanno infatti scoperto rapporti con almeno tre gruppi tedeschi e due austriaci con sede a Innsbruck, Vienna, Linz, Dresda, Berlino, Monaco e Norimberga. In una foto Sölva e Andergassen sono nella sede della Npd, il partito tedesco di estrema destra, con due rappresentanti del movimento politico berlinese: uno di questi è lo stesso uomo che ha accompagnato Sölva a Potsdam e che forse ha fatto da guida turistica nei lager.
È in questi raduni che si saldano anche i rapporti fra i neonazisti altoatesini di lingua tedesca e quelli italiani. A Passau, nella manifestazione per ricordare Rudolf Hess, l'enigmatico delfino di Hitler diventato uno dei miti nazisti, hanno marciato insieme. In una foto si vede in primo piano il gruppo di altoatesini e dietro sfilano gli aderenti al Fronte Veneto Skinheads, oggi rappresentati da Giordano Caracino, 28 anni. Secondo i rapporti dei carabinieri, nel marzo 2006 a Braunau am Inn, paese natale di Hitler, giovani del Fronte Veneto e naziskin da Roma, Verona, Trieste hanno sfilato e gridato slogan dentro un capannone: "Siamo tutti figli del Führer e discepoli del Duce". Erano presenti anche gli skinheads dei Braunau Bulldog, che nel 2005 fecero una gita a Mauthausen e dopo se ne andarono in una pizzeria a festeggiare: in Austria lo scandalo diventò un caso politico. Ma il loro gesto è diventato un modello da imitare, anche per i bolzanini. Che nelle istantanee posano davanti al cippo del forno crematorio di Dachau, dove una scritta invita alla riflessione: 'Pensate a come noi morimmo qui'. E loro invece alzano il braccio e gridano 'Sieg heil!'.
I LORO NEMICI Da Repubblica:
Indagine del ministero dell'Interno sugli extracomunitari "in positivo"
Tre su quattro hanno un lavoro. Il 55% vuole la cittadinanza italiana
Immigrati: colti, bilingue, almeno due figli
Di noi dicono:"Italiani brava gente"
Sono 620 mila i bambini figli di stranieri nati in Italia
Il nostro disagio nasce da carenza di servizi e insicurezza
ROMA - Istruzione medio-alta, conoscenza di due-tre lingue, tre su quattro hanno un lavoro. E sono 620 mila i bambini figli di stranieri nati e residenti in Italia. Per una volta c'è un'indagine all'incontrario che fotografa la realtà dei tre milioni di stranieri che vivono ufficialmente in Italia. Non solo cioè crimini, carcere, devianza e clandestini ma famiglie numerose, laboriose, che cercano di migliorare e migliorarsi e che se per il 55 per cento vorrebbe avere la cittadinanza italiana, il restante 40 per cento sogna di tornare prima o poi a casa.
Sono i punti principali dell'indagine sugli immigrati che è stata voluta dal ministro dell'Interno Giuliano Amato, eseguita dalla società Makno e presentata stamani alla Camera dei deputati dal ministro e dal sottosegretario Marcella Lucidi. La ricerca si basa su interviste a mille italiani e 2000 immigrati.
Il livello di istruzione e la conoscenza dell'italiano - Una quota "consistente" tra gli immigrati è composta da persone dotate di un'istruzione "medio-alta" e una quota notevole ha istruzione "superiore". Inoltre Il 27 per cento degli immigrato parla italiano in casa e il 30 per cento parla italiano con i figli. Tre su quattro ritengono di saper parlare "molto o abbastanza bene l'italiano" e il 60 per cento conosce anche francese o inglese.
Il lavoro - Tre su quattro hanno dichiarato di avere un lavoro mentre il 25 per cento (soprattutto studenti e casalinghe) è in cerca di un lavoro. Tra chi ha un'occupazione "la maggior parte" ha un contratto regolare; il 25 per cento è pagato a ore, il 16% svolge un'attività autonoma. La stima dei lavoratori a nero è di circa 76 mila. Le occupazioni più diffuse sono operaio, badanti, colf a ore, cameriere. Tra quelle autonome: negoziante, ristoratore e artigiano. Il 35 per cento non risponde alla domanda quanto guadagni al mese; una reticenza analoga arriva anche dal campione degli italiani. Il 10 per cento sostiene che il proprio guadagno dipende "da quanto lavoro riesce a trovare". Significa che circa 150 mila vivono in una condizione di incertezza di reddito. Sul fronte della retribuzione mensile nessuno degli intervistati ammette di andare oltre i mille e cento euro. I più si attestano tra gli 800 e i 1.100. Il 15 per cento dichiara di non avere praticamente tempo libero durante la settimana.
Casa - Il 44 per cento degli immigrati vive con la propria famiglia che diventa "un fattore di stabilizzazione", qualcosa che mette ordine. Il 30 per cento divide la casa con amici o parenti; il 17 per cento con altre persone e il 10 vive da solo.
La cittadinanza - Ci sono bambini - uno o due - in tre famiglie su quattro. Più della metà degli immigrati (il 53%) ha figli nati in Italia: in tutto sono 620 mila, il numero che ha fatto aumentare le nascite in Italia.
Il 55 per cento è interessato ad avere la cittadinanza, soprattutto sudamericani e africani. Il 20% non è interessato e dice che prima o poi tornerà a casa. Il 25% è indeciso.
Cosa pensano loro di noi - La sintesi è il titolo di un film: "Italiani brava gente". Alla domanda cosa pensano gli immigrati degli italiani le risposte più frequenti sono state: "brava gente"; "ti aiutano se capiscono che sei sincero"; "sono attenti all'educazione dei figli"; "rispettano gli anziani"; "non capiscono la cultura e le tradizioni del mio paese".
Cosa pensano gli immigrati degli immigrati - tre le risposte più frequenti: "preferiscono stare tra gente dello stesso paese"; "si impegnano a imparare la lingua"; "non capiscono che bisogna rispettare le leggi italiane".
Gli italiani e l'immigrazione - Il 55,9 per cento degli italiani ha un atteggiamento di apertura nei confronti degli immigrati. Il 25,2% ha un atteggiamento di chiusura convinta e il 18,9% di chiusura problematica. Il sentimento di ostilità nasce dal fatto che "la presenza di altri utenti ha peggiorato la qualità dei servizi, la disponibilità degli alloggi e la qualità dei trasporti". Più che un problema di razzismo l'ostilità sembra quindi nascere da una percezione di peggioramento della propria qualità della vita. A questo si aggiungono, peggiorando la situazione, "la questione sicurezza, e l'associazione di idee immigrazione-clandestinità-illegalità. Del tutto assenti, nell'immaginario degli italiani, gli altri volti dell'immigrazione: quella che lavora, produce e contribuisce al bilancio dello Stato. Non riusciamo ad avere memoria di quello che siamo stati noi neppure un secolo fa.
Ma ci sono alcune cose che non riesco minimamente a concepire:
I BRAVI RAGAZZI ITALIANI Da Espresso:
Festa nel lager naziskin a Dachau
di Paolo Tessadri
Giovani da Bolzano nei campi di concentramento SS, per gridare 'Sieg heil'. O per farsi ritrarre con l'accendino sotto le immagini delle sinagoghe bruciate. In esclusiva le foto del 'turismo dell'Olocausto'
Sono l'avanguardia dell'orrore, quella capace di superare ogni limite. Nazisti pronti all'insulto più estremo, all'oltraggio di qualunque memoria. Eccoli, fare il saluto hitleriano davanti al cippo che ricorda il forno crematorio di Dachau. Mettersi in posa compiaciuti accanto a quella scritta agghiacciante 'Arbeit macht frei' sul cancello che migliaia di ebrei hanno varcato una sola volta. Poi mostrare le loro magliette con le machine-pistol usate dai guardiani per abbattere chi non obbediva ciecamente agli ordini. E sfoggiare le t-shirt con la sagoma delle SS davanti al monumento ispirato dall'intreccio dei corpi scheletrici nelle fosse comuni. Istantanee di una gita che incenerisce i confini della decenza, scattate per renderle oggetto di culto tra i camerati, come per dimostrare un primato ideologico: avere inneggiato al führer del Terzo Reich nel luogo dove l'Olocausto venne concepito. Dachau, a pochi chilometri da Monaco di Baviera, è il primo lager, quello in cui furono rinchiusi gli ebrei catturati nella 'Notte dei cristalli' e gli oppositori del regime, quello usato per sperimentare il genocidio.
Le foto che 'L'espresso' pubblica in esclusiva sono state sequestrate dai carabinieri del Ros di Bolzano durante un'inchiesta sui naziskin altoatesini. Erano conservate da alcune delle persone ritratte, che le esibivano con orgoglio ai loro accoliti. I sette camerati ripresi nelle immagini hanno patteggiato condanne comprese tra 12 e 30 mesi di carcere: l'ultima sentenza risale a poche settimane fa. Ma ai fini della pena questo reportage incredibile non ha avuto effetti: per il codice penale italiano il turismo dello sterminio non ha rilevanza. Nemmeno la legge Mancino, quella creata nel 1991 per porre freno all'ondata montante di razzismo, ha ipotizzato un tale baratro di disprezzo. Il procuratore capo Cuno Tarfusser e il pm Axel Bisignano nel sostenere l'accusa contro la banda di gitanti a Dachau non hanno potuto far pesare quello sfregio alla Memoria. Eppure il fenomeno dei tour nazisti è in crescita costante: dai luoghi hitleriani classici si passa sempre più spesso a incursioni antisemite. Che precipitano dalla goliardia alla vergogna.
Come definire altrimenti la foto, sequestrata dal Ros nella stessa operazione, che ritrae i due naziskin con l'accendino in mano sotto la lapide che ricorda la prima sinagoga incendiata in Germania durante la 'Notte dei cristalli'? In quella vacanza a Potsdam, in Brandeburgo, nel luogo del primo assalto delle camicie brune, la formazione è la stessa. Sono sette italiani dell'Alto Adige, inquadrati come militari, capeggiati dal 'comandante' Armin Sölva e dal suo vice Christoph Andergassen. Hanno dai 18 ai 26 anni e nonostante le sentenze restano a piede libero.
L'organizzazione di Sölva e Andergassen è la Südtiroler Kameradschaftsring per la lotta di liberazione del Sudtirolo, con tanto di statuto messo nero su bianco: tra gli obiettivi, l'istigazione all'odio razziale e la venerazione di Hitler e ai suoi gerarchi. Una fede malvagia celebrata, secondo i risultati delle indagini, con minacce, pestaggi e devastazioni. Che li trasforma nell'avanguardia di una rete nera che attraversa l'Europa e che vede sfilare fianco a fianco camerati di ogni paese, spesso divisi da questioni etniche, come accade tra sudtirolesi e italiani, ma pronti a fare fronte comune con il braccio teso.
Identici gli slogan, testimoniati anche dalle magliette indossate nel lager bavarese. In una foto si vede Armin Sölva inginocchiato, mani giunte in atto di ringraziamento per lo sterminio, nella cappella che ricorda i 3 mila sacerdoti cattolici deportati. In un'altra, due camerati entrano nell'edificio centrale del campo dove è allestita la mostra sul Terzo Reich e in tenuta da skinheads posano sorridenti davanti alla grande scritta SS. Altri due compaiono vicini a una celebre frase della propaganda del Reich: 'Unsere Letzte Hoffung. Hitler' (la nostra ultima speranza: Hitler). Indossano t-shirt con l'immagine di un soldato tedesco e di supporter di estrema destra, sempre dentro il campo di Dachau. Poi di spalle, piegati, con l'immagine di un mitragliatore su una t-shirt e sull'altra la scritta 'Siamo dei criminali convinti', spingono giù il cippo di marmo eretto dove sorgevano i forni crematori. In un'altra immagine due del gruppo si mettono davanti al muro di cinta, sono ai lati di un cartello che indica la linea oltre la quale le guardie sparavano sui deportati: Il lager, un monumento che dovrebbe essere tutelato in nome dell'intera umanità, appare incustodito. Nessuno ferma questi giovani altoatesini dal look inconfondibile. Si sono mossi indisturbati per ore, padroni del campo di sterminio dove non è stato nemmeno possibile stabilire un bilancio del massacro: dei 206 mila reclusi registrati, almeno 43 mila persero la vita. Ma si ritiene che molti deportati non venissero segnati nella contabilità del genocidio e che negli ultimi mesi del 1945 malattie e denutrizione fossero più letali delle SS: gli americani scoprirono 39 vagoni ferroviari colmi di cadaveri spettrali. Un inferno, che adesso serve come fondale per le foto-trofeo dei 'figli del Führer'.
Le trasferte in Germania e in Austria del gruppo altoatesino non servono solo per il turismo dell'orrore: sono fondamentali per consolidare i legami con le altre formazioni di estrema destra. I carabinieri dei Ros hanno infatti scoperto rapporti con almeno tre gruppi tedeschi e due austriaci con sede a Innsbruck, Vienna, Linz, Dresda, Berlino, Monaco e Norimberga. In una foto Sölva e Andergassen sono nella sede della Npd, il partito tedesco di estrema destra, con due rappresentanti del movimento politico berlinese: uno di questi è lo stesso uomo che ha accompagnato Sölva a Potsdam e che forse ha fatto da guida turistica nei lager.
È in questi raduni che si saldano anche i rapporti fra i neonazisti altoatesini di lingua tedesca e quelli italiani. A Passau, nella manifestazione per ricordare Rudolf Hess, l'enigmatico delfino di Hitler diventato uno dei miti nazisti, hanno marciato insieme. In una foto si vede in primo piano il gruppo di altoatesini e dietro sfilano gli aderenti al Fronte Veneto Skinheads, oggi rappresentati da Giordano Caracino, 28 anni. Secondo i rapporti dei carabinieri, nel marzo 2006 a Braunau am Inn, paese natale di Hitler, giovani del Fronte Veneto e naziskin da Roma, Verona, Trieste hanno sfilato e gridato slogan dentro un capannone: "Siamo tutti figli del Führer e discepoli del Duce". Erano presenti anche gli skinheads dei Braunau Bulldog, che nel 2005 fecero una gita a Mauthausen e dopo se ne andarono in una pizzeria a festeggiare: in Austria lo scandalo diventò un caso politico. Ma il loro gesto è diventato un modello da imitare, anche per i bolzanini. Che nelle istantanee posano davanti al cippo del forno crematorio di Dachau, dove una scritta invita alla riflessione: 'Pensate a come noi morimmo qui'. E loro invece alzano il braccio e gridano 'Sieg heil!'.
I LORO NEMICI Da Repubblica:
Indagine del ministero dell'Interno sugli extracomunitari "in positivo"
Tre su quattro hanno un lavoro. Il 55% vuole la cittadinanza italiana
Immigrati: colti, bilingue, almeno due figli
Di noi dicono:"Italiani brava gente"
Sono 620 mila i bambini figli di stranieri nati in Italia
Il nostro disagio nasce da carenza di servizi e insicurezza
ROMA - Istruzione medio-alta, conoscenza di due-tre lingue, tre su quattro hanno un lavoro. E sono 620 mila i bambini figli di stranieri nati e residenti in Italia. Per una volta c'è un'indagine all'incontrario che fotografa la realtà dei tre milioni di stranieri che vivono ufficialmente in Italia. Non solo cioè crimini, carcere, devianza e clandestini ma famiglie numerose, laboriose, che cercano di migliorare e migliorarsi e che se per il 55 per cento vorrebbe avere la cittadinanza italiana, il restante 40 per cento sogna di tornare prima o poi a casa.
Sono i punti principali dell'indagine sugli immigrati che è stata voluta dal ministro dell'Interno Giuliano Amato, eseguita dalla società Makno e presentata stamani alla Camera dei deputati dal ministro e dal sottosegretario Marcella Lucidi. La ricerca si basa su interviste a mille italiani e 2000 immigrati.
Il livello di istruzione e la conoscenza dell'italiano - Una quota "consistente" tra gli immigrati è composta da persone dotate di un'istruzione "medio-alta" e una quota notevole ha istruzione "superiore". Inoltre Il 27 per cento degli immigrato parla italiano in casa e il 30 per cento parla italiano con i figli. Tre su quattro ritengono di saper parlare "molto o abbastanza bene l'italiano" e il 60 per cento conosce anche francese o inglese.
Il lavoro - Tre su quattro hanno dichiarato di avere un lavoro mentre il 25 per cento (soprattutto studenti e casalinghe) è in cerca di un lavoro. Tra chi ha un'occupazione "la maggior parte" ha un contratto regolare; il 25 per cento è pagato a ore, il 16% svolge un'attività autonoma. La stima dei lavoratori a nero è di circa 76 mila. Le occupazioni più diffuse sono operaio, badanti, colf a ore, cameriere. Tra quelle autonome: negoziante, ristoratore e artigiano. Il 35 per cento non risponde alla domanda quanto guadagni al mese; una reticenza analoga arriva anche dal campione degli italiani. Il 10 per cento sostiene che il proprio guadagno dipende "da quanto lavoro riesce a trovare". Significa che circa 150 mila vivono in una condizione di incertezza di reddito. Sul fronte della retribuzione mensile nessuno degli intervistati ammette di andare oltre i mille e cento euro. I più si attestano tra gli 800 e i 1.100. Il 15 per cento dichiara di non avere praticamente tempo libero durante la settimana.
Casa - Il 44 per cento degli immigrati vive con la propria famiglia che diventa "un fattore di stabilizzazione", qualcosa che mette ordine. Il 30 per cento divide la casa con amici o parenti; il 17 per cento con altre persone e il 10 vive da solo.
La cittadinanza - Ci sono bambini - uno o due - in tre famiglie su quattro. Più della metà degli immigrati (il 53%) ha figli nati in Italia: in tutto sono 620 mila, il numero che ha fatto aumentare le nascite in Italia.
Il 55 per cento è interessato ad avere la cittadinanza, soprattutto sudamericani e africani. Il 20% non è interessato e dice che prima o poi tornerà a casa. Il 25% è indeciso.
Cosa pensano loro di noi - La sintesi è il titolo di un film: "Italiani brava gente". Alla domanda cosa pensano gli immigrati degli italiani le risposte più frequenti sono state: "brava gente"; "ti aiutano se capiscono che sei sincero"; "sono attenti all'educazione dei figli"; "rispettano gli anziani"; "non capiscono la cultura e le tradizioni del mio paese".
Cosa pensano gli immigrati degli immigrati - tre le risposte più frequenti: "preferiscono stare tra gente dello stesso paese"; "si impegnano a imparare la lingua"; "non capiscono che bisogna rispettare le leggi italiane".
Gli italiani e l'immigrazione - Il 55,9 per cento degli italiani ha un atteggiamento di apertura nei confronti degli immigrati. Il 25,2% ha un atteggiamento di chiusura convinta e il 18,9% di chiusura problematica. Il sentimento di ostilità nasce dal fatto che "la presenza di altri utenti ha peggiorato la qualità dei servizi, la disponibilità degli alloggi e la qualità dei trasporti". Più che un problema di razzismo l'ostilità sembra quindi nascere da una percezione di peggioramento della propria qualità della vita. A questo si aggiungono, peggiorando la situazione, "la questione sicurezza, e l'associazione di idee immigrazione-clandestinità-illegalità. Del tutto assenti, nell'immaginario degli italiani, gli altri volti dell'immigrazione: quella che lavora, produce e contribuisce al bilancio dello Stato. Non riusciamo ad avere memoria di quello che siamo stati noi neppure un secolo fa.