Leggendo l'evolversi della vicenda sul blog di BlackCat sono molto perplessa. Non mi permetto di giudicare i moti che spingono in una direzione o in un'altra ma il fatto di aver reso pubblico un altro aneddoto che ha intitolato "dis-integrazione" accaduto nella scuola che frequenta il bambino, accendendo un'altra ondata di indignazione, l'ho trovato molto imprudente, non di conforto per chi vive questo problema, nè per lei che in questo momento è in pieno travaglio, nè soprattutto per il bambino che con quelle maestre e quella scuola, messa in uno stato di soggezione ancor prima di verificare le cause, avrà a che fare tutti i giorni.
Hai detto bene, Mercury: quando i timori diventano la certezza di una diagnosi quel che capita addosso arriva in un momento, anche se pensi di essere preparato. E' un lutto grande. Il lutto di un progetto di vita, fatto di investimenti emotivi e di fantasie sul futuro che cambiano perchè quella parola "futuro" diventa di colpo impronunciabile.
Come tutti i lutti richiede un lungo percorso fatto di tanti momenti in cui scopri emozioni che spaventano e che neanche conoscevi. Compresa una gran rabbia, un gran senso di ingiustizia.
E' comprensibile sentire il bisogno di sfogarla e a volte riversarla sul mondo normo-dotato. Ma bisogna poi dare il vero nome alle cose e guardarsi onestamente allo specchio, altrimenti si rischia di vivere nel rancore della diversità. Questo è molto pericoloso, perchè è un atteggiamento che non la riscatta.
Non ci sono formule o ricette ma è l'esperienza vissuta che insegna ed io ho ritrovato la mia pace quando sono riuscita ad innescare dei sentimenti di complicità, mai di guerra anche in nome della difesa dei diritti di un bambino speciale.
Io non ho mai voluto che mio figlio fosse troppo "speciale". Preferisco suggerire che ogni bambino è speciale. E' il solo modo che ho per parlare da mamma con le altre mamme senza sentirmi io stessa diversa.
Per fare questo a volte capita di dover ingoiare bocconi amari col sorriso slampato in faccia, perchè bisogna dare tempo agli altri. Non sempre si è capiti subito, nè si può pretenderlo.
Per esempio, quando Nik andava alle elementari, la mia ansia era la sua impulsività. Sapevo che i suoi compagni correvano rischi fisici accanto a lui e nessuno può immaginare come mi sentissi con i genitori di questi bambini.
Durante un'assemblea di classe alla fine della prima presi il coraggio a due mani e li affrontai tutti insieme. Gli rivelai semplicemente la mia angoscia, la mia ansia, il senso di mortificazione che provavo ogni volta che un loro bimbo riceveva una spinta, un calcio o un graffio dal mio... il senso di colpa. Cercai di spiegare che l'aggresività di mio figlio non scaturiva da cattiveria ma da eccessi affettivi, se la prendeva sempre con i compagni che gli erano più cari...
Ma soprattutto cercai di riscattare lo scemo del villaggio. Perchè da lui venne il suggerimento. Un giorno mi disse che anche lui aveva dei fratelli.
Ed era vero! Quando i bambini vivono insieme per otto ore al giorno svuluppano un senso di fratellanza nel bene e nel male. E i genitori, con le loro parole a casa possono fare molto.
Chiesi di condividere il mio problema. E così, ogni volta che Nick aggrediva qualcuno, il giorno dopo lo presentavo alla mamma o al papà del compagno a beccarsi la ramanzina.
La complicità c'è stata. Gli esiti pure. Perchè un NO, NON SI FA! Ribadito non solo dalla propria mamma ma da venti mamme e tre insegnanti eccome se si sente di più!! E anche la soddisfazione di condividerli con le insegnanti e con le famiglie.
Complicità, non BUONISMO, non pietà, non tolleranza dovuta... solo azioni concrete.
Insomma, quella famosa frase "la diversità è nostra figlia" in fondo significa affidare i propri figli agli altri quando è necessario e saper compiere un atto molto difficile: non considerarli mai troppo solo nostri.
Io mi auguro che BlakCat trovi la sua strada. Una strada più comprensiva. Una strada che consenta ad Alexander di essere Alexander e non un simbolo di ingiustizia perchè, è certo, lo isolerebbe ancora di più.
E che la rabbia si ravveda.
Lo
scemo del villaggio è un ruolo che , dice bene Mercury, appartiene ad ogni comunità.... persino in un forum
E' un ruolo catartico.
I bambini non sono mai cattivi. Per incorporare regole devono prima particarle, manipolarle, a volte distruggerle.
Hanno bisogno di infrangere, rompere, appropriarsi. Hanno bisogno di lupi cattivi e di scemi del villaggio che catalizzino le loro emozioni e i loro impulsi in questo grande lavoro di adattamento che devono fare per essere loro stessi normo-esseri civilizzati.
E lo scemo non è certo per definizione il disabile. Anzi, nella media il bambino disabile è più protetto deglia altri e non è vero che c'è tutta questa inciviltà. Spesso i bambini sono costretti a tollerare anche più del dovuto e il bambino disabile ne approfitta pure e tiranneggia anche lui che è un piacere....
Lo scemo del villaggio più spesso è il timido, l'impacciato, il ciccione, lo smilzo, quello con le orecchie a sventola, quello che puzza, che balbetta, quello col cognome ridicolo. Quello che ha addosso qualcosa che temono o che desiderano, che fa qualcosa che farebbero ma non osano fare.... Di sicuro, non c'è comunità senza il suo scemo.
Scemi del villlaggio lo siamo tutti quando ci sentiamo inadeguati al contesto e il contesto ci guarda con disprezzo.
E tiranni, crudeli e insensibili lo siamo tutti quando ci sentiamo così fortemente saldi ad un contesto da ritenerci immuni dalla deficienza.
E' che spesso, nella fretta, non ce ne accorgiamo, di quanto siamo scemi!
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E scusate la lungaggine....