Inviato: 17/04/10 0:18
Mi complimento e ... quasi mi commuove questo trip simbiotico con la tua casa.
Da un'altra prospettiva questo rapporto quasi "maniaco-ossessivo" con la propria abitazione mi ricorda una coppia di miei amici e mi riporta indietro di una decina d'anni (12 per l'esattezza), quando decisero di riattare un'antica casa di famiglia del '700 sul lago Maggiore. All'inizio fu tutto molto eccitante: il progetto, i lavori, le mille discussioni ... ogni energia andava a finire tra quei mattoni. M'invitavano a cena, restavo a dormire e l'indomani inevitabilmente mi toccava dare una mano di qui e di là (pigro come sono ... capirai la felicità!).
Poi, una volta la casa finita, c'è stato un periodo di intenso autocompiacimento (con cene, pranzi, inviti su inviti, ecc.) durato circa un anno e mezzo e, a partire da lì, un progressivo "spegnimento". Come una sorta di vuoto dopo la tempesta. La ragion d'essere riferita alla casa era venuta meno e, con essa, erano venuti a galla una serie di problemi relazionali rimasti sopiti, fino ad allora, dall'entusiasmo per i lavori. Ci sono stato, l'ultima volta, due anni fa circa e vi ho respirato un'aria triste e vuota. Ho visto una coppia solitaria e annoiata in una splendida casa. Mi hanno detto che, se potessero, comprerebbero un'altra casa da riattare, solo per il gusto di ritrovare il piacere di condividere l'entusiasmo per un progetto. Per avere una ragione di vita! La cosa ovviamente mi ha lasciato alquanto sgomento. Però a ben pensarci è vero. Durante molti anni, questi non hanno avuto il tempo (o non se lo sono concesso) di vivere al di fuori delle nevrosi da costruzione. Voglio dire: uscire, socializzare, sviluppare altri interessi, viaggiare, ... insomma godere della vita fuori dalle mura domestiche. Ora quelle stesse, amatissime mura domestiche sono diventate quasi una prigione (certo dorata). La cosa ovviamente mi ha fatto un po' paura e mi sono ripromesso di non cadere nella stessa trappola - per quanto mi piaccia moltissimo dedicare del tempo all'abitazione. In questo periodo stanno ristrutturando una vecchia casa dell'800, dove ho appena comprato un appartamento (il primo appartamento di proprietà dopo anni di affitto). Credici o no, mi sono auto-imposto una disciplina ferrea per non cadere in un rapporto, appunto, simbiotico con il progetto in divenire. Ho dato mandato a un terzo (di fiducia! figuriamoci) per seguire i lavori e mi presento raramente sul cantiere. Intanto continuo la mia vita di sempre, in attesa di trasferirmi nella nuova casa. Voglio che essa mi corrisponda e sia espressione di me stesso, ma non voglio che "diventi me stesso" (o viceversa). Insomma, voglio che la casa sia un luogo confortevole, dove rifugiarmi, dove invitare le persone care, dove passare del tempo in modo piacevole, ma anche un luogo che sia al mio servizio e non l'opposto, ossìa io al servizio della casa.
Ecco, la tua vicenda mi ha riportato alla mente quei miei amici ('azzo dovrei telefonare loro: è da tanto che non li sento) e mi rammenta che, per quanto io sia attaccato al focolare domestico, mai vorrei esserne schiavo al punto da non ricordare la natura funzionale della casa e il suo ruolo tutto sommato secondario nella sfera di ciò che conta veramente nella mia vita.
Voilà ... solo qualche riflessione ...
Ciao!! ... e in bocca al lupo per le prossime tappe dei lavori!
Da un'altra prospettiva questo rapporto quasi "maniaco-ossessivo" con la propria abitazione mi ricorda una coppia di miei amici e mi riporta indietro di una decina d'anni (12 per l'esattezza), quando decisero di riattare un'antica casa di famiglia del '700 sul lago Maggiore. All'inizio fu tutto molto eccitante: il progetto, i lavori, le mille discussioni ... ogni energia andava a finire tra quei mattoni. M'invitavano a cena, restavo a dormire e l'indomani inevitabilmente mi toccava dare una mano di qui e di là (pigro come sono ... capirai la felicità!).
Poi, una volta la casa finita, c'è stato un periodo di intenso autocompiacimento (con cene, pranzi, inviti su inviti, ecc.) durato circa un anno e mezzo e, a partire da lì, un progressivo "spegnimento". Come una sorta di vuoto dopo la tempesta. La ragion d'essere riferita alla casa era venuta meno e, con essa, erano venuti a galla una serie di problemi relazionali rimasti sopiti, fino ad allora, dall'entusiasmo per i lavori. Ci sono stato, l'ultima volta, due anni fa circa e vi ho respirato un'aria triste e vuota. Ho visto una coppia solitaria e annoiata in una splendida casa. Mi hanno detto che, se potessero, comprerebbero un'altra casa da riattare, solo per il gusto di ritrovare il piacere di condividere l'entusiasmo per un progetto. Per avere una ragione di vita! La cosa ovviamente mi ha lasciato alquanto sgomento. Però a ben pensarci è vero. Durante molti anni, questi non hanno avuto il tempo (o non se lo sono concesso) di vivere al di fuori delle nevrosi da costruzione. Voglio dire: uscire, socializzare, sviluppare altri interessi, viaggiare, ... insomma godere della vita fuori dalle mura domestiche. Ora quelle stesse, amatissime mura domestiche sono diventate quasi una prigione (certo dorata). La cosa ovviamente mi ha fatto un po' paura e mi sono ripromesso di non cadere nella stessa trappola - per quanto mi piaccia moltissimo dedicare del tempo all'abitazione. In questo periodo stanno ristrutturando una vecchia casa dell'800, dove ho appena comprato un appartamento (il primo appartamento di proprietà dopo anni di affitto). Credici o no, mi sono auto-imposto una disciplina ferrea per non cadere in un rapporto, appunto, simbiotico con il progetto in divenire. Ho dato mandato a un terzo (di fiducia! figuriamoci) per seguire i lavori e mi presento raramente sul cantiere. Intanto continuo la mia vita di sempre, in attesa di trasferirmi nella nuova casa. Voglio che essa mi corrisponda e sia espressione di me stesso, ma non voglio che "diventi me stesso" (o viceversa). Insomma, voglio che la casa sia un luogo confortevole, dove rifugiarmi, dove invitare le persone care, dove passare del tempo in modo piacevole, ma anche un luogo che sia al mio servizio e non l'opposto, ossìa io al servizio della casa.
Ecco, la tua vicenda mi ha riportato alla mente quei miei amici ('azzo dovrei telefonare loro: è da tanto che non li sento) e mi rammenta che, per quanto io sia attaccato al focolare domestico, mai vorrei esserne schiavo al punto da non ricordare la natura funzionale della casa e il suo ruolo tutto sommato secondario nella sfera di ciò che conta veramente nella mia vita.
Voilà ... solo qualche riflessione ...
Ciao!! ... e in bocca al lupo per le prossime tappe dei lavori!