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Arte programmata, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma

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Da vedere - anche se sta per chiudere i battenti proprio oggi - questa mostra alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, per documentare un'avanguardia rappresentata da un gruppo di artisti abbastanza misconosciuto, ancora oggi, e sopratutto in Italia.
A parte infatti colui che è considerato il padre del movimento, Bruno Munari, che pur non facendo parte di alcun gruppo ha partecipato assiduamente alle manifestazioni espositive dei gruppi non solo italiani. Munari coniò anche il termine 'arte programmata' in occasione della nota mostra del gruppo tenutasi nel negozio Olivetti di Milano, nel 1962, che allestì personalmente, sorretta da testi critici del giovane Umberto Eco.
La stessa individualità, pur se più in sintonia con le premesse metodologiche ed estetiche dei gruppi, riguardano altre due figure storiche come Enzo Mari e Getulio Alviani. Spazio anche alle opere di Alberto Biasi e Gianni Colombo (fratello di Cesare 'Joe' Colombo, il grande designer scomparso prematuramente nel 1971), gli animatori principali dei gruppi di Padova e di Milano, che hanno continuato a produrre opere cinetiche anche nei decenni a seguire la stagione d'oro del gruppo e a riportare una solida fama internazionale.
Sono rappresentate abbastanza bene le opere di tutti gli altri componenti del Gruppo N, Landi, Chiggio, Massironi, Costa, del Gruppo T, Boriani, Anceschi, Varisco, De Vecchi, poi quelli romani sostenuti dalla critica di Argan, e quelli europei come quello parigino del GRAV con Le Parc, Morellet, Stein, Garcia Rossi, Sobrino, Yvaral, ed infine il mitico Gruppo Zero di Düsseldorf, del quale sono esposte opere di Uecker, Piene e Mack.
L'intento dei curatori dell'esposizione era quella di documentare la diffusione estesa a livello globale del movimento e la sua ricerca di rinnovare il linguaggio artistico, teso al superamento della crisi di valori dell'espressionismo e dell'informale e dell'isolamento di quel 'tipo' di artista, per confrontarsi con l'industria e la tecnologia avanzanti, ai tempi del boom economico maturo.
Al passo col mutamento della società - che non era più quella scòssa del dopoguerra, ma quella del benessere - e, sensibili alle avvisaglie del movimento minimale americano si contrapponevano all'idea romantica dell'artista individualista contro tutto e tutti, questi artisti lavoravano e pensavano in equipe, gomito a gomito, progettando insieme congegni e complesse ambientazioni, utilizzando spesso materiali prelavorati e tecnologie provenienti dalle industrie, come piccoli motori elettronici e magnetici, lampade fluorescenti, superfici di plexiglass, ecc., per realizzare più che delle opere d’arte degli ambienti ben definiti, all'interno dei quali lo spettatore doveva realizzare una certa esperienza artistica, percettiva sopratutto (per esempio gli ambienti di Gianni Colombo, in basso, o di De Biasi, presenti in mostra). L'artista in qualche modo tendeva a sacrificare la sua 'voce', in favore di realizzazioni in grado di 'parlare' ai suoi fruitori (non di respingerli, come le opere degli artisti informali) e di coinvolgerli (Eco definiva queste opere 'opere aperte'), con un linguaggio chiaro, razionale, scientifico. Non a caso in mostra alcune opere non hanno autore, ma c'è la solo la sigla del gruppo.
Si chiude infine in bellezza con un'opera recuperata dai magazzini della GNAM e restaurata in occasione della mostra, il Grande muro panoramico vibrante (sotto, ultima immagine), di Jesus Rafael Soto, acquistato da Palma Bucarelli alla Biennale di Venezia del 1966 e non più visibile da circa trent'anni.
Così, tanto per, su YT, una grande parete di Gianni Colombo, Strutturazione pulsante:
http://www.youtube.com/watch?v=4vZJg8NQiqM
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