un articolo per chiarirvi le idee
A dieta senza calorie
La chiave per perdere peso non è il valore calorico dei cibi. Ma il metabolismo degli zuccheri insieme all'andamento della glicemia.
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Le calorie non esistono? Sembra una provocazione ma è, invece, una questione aperta sul tavolo dei maggiori specialisti di nutrizione. Perché, se da un lato è ovvio che non si possono ingurgitare migliaia di calorie e sperare di perdere peso, dall'altro gli esperti ormai sanno che esse non sono tutto nel determinare quanto una dieta ci permetta di dimagrire. Il contenuto calorico è un concetto fisico, che rende conto solo in modo grossolano di come il cibo influenza il bilancio energetico dell'organismo. Altri aspetti contano altrettanto, se non di più.
Primo fra tutti, la capacità del pasto di far crescere i livelli di glucosio nel sangue. Una capacità espressa in due numeri: l'indice glicemico, che in pratica indica la velocità con cui i carboidrati in un dato cibo sono assorbiti, e il carico glicemico, che tiene conto anche della quantità effettiva di carboidrati racchiusi in una dose ordinaria dell'alimento. Le carote, ad esempio, hanno un alto indice glicemico perché i loro carboidrati sono assorbiti in fretta; ma poiché ne contengono pochissimi, hanno un carico glicemico basso.
Gi alimenti ricchi di carboidrati e con alto indice glicemico sono quelli a cui prestare più attenzione, perché innalzano rapidamente i livelli di glucosio portandoli a picchi che, se ripetuti pasto dopo pasto, scompaginano i nostri meccanismi regolativi. Allora, come costruire la nostra alimentazione per perdere peso? Lo abbiamo chiesto a Cara Ebbeling, endocrinologa della Harvard Medical School di Boston, ospite a Roma della Fondazione Paolo Sorbini in occasione del convegno 'Science in Nutrition 2010'.
Perché il carico glicemico è così importante?
"La tradizionale classificazione dei carboidrati, in zuccheri semplici e amidi complessi, dal punto di vista nutrizionale è obsoleta. Ci sono amidi che vengono assorbiti alla stessa velocità degli zuccheri. Molti effetti del cibo sul metabolismo energetico non dipendono solo dalle calorie, ma anche dal picco di zucchero nel sangue. Ad esempio, due gruppi di ratti hanno ricevuto diete identiche per quantità di carboidrati, proteine e grassi, e quindi introito energetico, e in dosi tali da mantenere uguale il peso medio. Il tipo di carboidrati, e quindi il carico glicemico, era però diverso. Ebbene, quelli con alto carico glicemico, pur a parità di peso corporeo, avevano una massa grassa molto maggiore".
Questo cosa comporta?
"La nostra tesi è che
un alto carico glicemico altera gli equilibri fisiologici, indirizzando l'uso dei carburanti metabolici verso l'immagazzinamento anziché il consumo, perché provoca un picco di ormoni come l'insulina che favoriscono il deposito degli zuccheri, e frena quelli come il glucagone che ne stimolano il consumo. Questo, oltre a favorire di per sé l'ingrassamento, altera la regolazione della sazietà inducendo a mangiare di più. Abbiamo visto che i bambini nelle ore successive a una colazione a basso carico glicemico mangiavano meno. E negli adolescenti l'intervallo tra i pasti era più lungo. Va detto però che la relazione fra carico glicemico e peso corporeo non è così netta come le altre".
Come mai?
"Far seguire una dieta è più complicato che dare una pillola, e in genere si imputano i risultati incoerenti al fatto che i pazienti non la rispettano bene. Certo, però c'è anche la possibilità che la risposta differisca tra i vari soggetti a seconda delle differenze fisiologiche.
Perciò abbiamo condotto uno studio per confrontare una dieta a basso carico glicemico con una povera di grassi, con carico glicemico medio. Il protocollo era stringente: le istruzioni erano standardizzate, tutto ciò che facevano gli operatori era documentato, anche filmato, e tenevamo riunioni serrate per verificare che tutto procedesse a dovere e sciogliere così i dubbi. Inoltre,
abbiamo verificato come cambiavano i risultati in base alla risposta insulinica dei soggetti, uno dei parametri che media gli effetti del carico glicemico".
Con quale esito?
"Nell'insieme
i due regimi hanno prodotto benefici simili sul peso e sul grasso corporeo. Nei soli soggetti che dopo il pasto avevano una massiccia secrezione di insulina, però, la dieta a basso carico glicemico era molto più efficace. Sembra quindi che il carico glicemico conti soprattutto per chi ha una risposta insulinica elevata".
In definitiva, qual è il messaggio su cosa fare e cosa no a tavola?
"Io invito a diffidare delle tante informazioni contraddittorie sul cibo miracoloso o velenoso di turno, e attenersi alle regole generali per un'alimentazione con un indice glicemico moderato. Gli scettici sostengono che l'indice glicemico è troppo complicato da calcolare per essere pratico; ad esempio varia a seconda della provenienza di un frutto, o cresce con la cottura della pasta. Ma in realtà
i concetti base sono semplici e si possono tradurre in pochi messaggi chiari: mangiare frutta, verdura, legumi; ridurre gli snack altamente raffinati o zuccherini, cui vanno preferiti cibi integrali e il meno lavorati possibile; ed evitare le bibite dolci, una delle cose in assoluto più importanti nei bambini. Poi, naturalmente, chi ha bisogno di una dieta importante deve rivolgersi agli specialisti che ormai, almeno negli Usa, hanno ben presente che le calorie sono importanti, ma altrettanto lo è la loro fonte.
Le ultime rilevazioni dei Centers for Disease Control dicono che negli Usa la crescita di peso della popolazione si sta arrestando. L'epidemia di obesità è alla fine?
"Non sono convinta che non sia un artefatto statistico, dovuto al modo in cui si calcola l'indice di peso corporeo. Se davvero si fosse toccato un tetto, potrebbe essere un segno che le campagne preventive cominciano a funzionare. Ma anche così, resta fuori discussione che ci siano molti obesi che hanno bisogno di qualche intervento, se non vogliamo pagare un pedaggio sempre più alto in termini di salute pubblica".
Quanto conta in questa epidemia quello che avete chiamato l''ambiente tossico'?
"Molto. Contano la struttura e i ritmi delle città che favoriscono una vita sedentaria, gli spostamenti in auto che scoraggiano la vita all'aperto. Come il tempo passato alla tv, specie dai bambini che non si muovono e si ingozzano di merendine e bibite, perché inondati da pubblicità di cibi e bevande fuorvianti e potenzialmente dannose. E pesa l'abitudine ai pasti fuori casa, specie nei fast food, o consumati in casa al volo, spesso meno sani di quelli preparati in cucina e mangiati a tavola".
Lei ha studiato anche i conflitti d'interesse: cosa ha scoperto?
"Esaminando oltre un centinaio di studi su bibite analcoliche abbiamo verificato che anche in campo nutrizionale vale quanto è già noto per i farmaci. Le ricerche finanziate da società sul mercato alimentare avevano da quattro a otto volte più probabilità di quelle non sponsorizzate di concludere che il prodotto ha il beneficio auspicato, o che non ha gli effetti avversi temuti. Gli studi possono essere progettati in modo tendenzioso, o semplicemente i risultati sfavorevoli non sono pubblicati. Per avere informazioni affidabili occorrono quindi più studi indipendenti".