Poco più di due anni dopo, mentre il governo allora trionfante arranca dietro l’incontinenza del suo leader, la maggioranza perde pezzi e il capo si avvia sul viale del tramonto, si chiude simbolicamente anche la vicenda Alitalia, con il cader di paillettes e nastrini:
non si trattò di salvataggio dal pericolo di finire nelle mani dei francesi di Air France, ma di un costoso rinvio della vendita della compagnia aerea italiana agli stessi francesi. Costoso per i contribuenti,
non per i partecipanti, soci e sodali del premier.
Da Parigi, il quartier generale dell’Air France ha fatto sapere: per ora non c’è niente di nuovo, poi si vedrà. Il “poi” – il 2013 – per i tempi della politica vuol dire un periodo lunghissimo; ma intanto il messaggio, per chi si occupa di soldi e azioni, crediti e impegni, è stato lanciato ed è arrivato a chi di dovere: il futuro industriale dell’Alitalia è francese, gli italiani sono pronti a vendere, comincia la trattativa. E gli altri italiani, quelli che votano? Si fa affidamento sulla loro scarsa memoria: chi volete che si ricordi, nella campagna elettorale del 2013 – o del 2011, chissà – delle promesse fatte in quella del 2008?
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