La Redazione Consiglia

I migliori articoli su Arredamento.it

#3
Anatocismo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Con il termine anatocismo (dal greco anà - di nuovo, e tokòs - interesse) si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Nella prassi bancaria, tali interessi vengono definiti "composti". Un esempio di anatocismo è quello di capitalizzare (ossia sommare al capitale di debito residuo) gli interessi ad ogni scadenza di pagamento, anche se sono regolarmente pagati.
La legge autorizza il pagamento degli interessi legali sulle quote di debito (capitale e interessi), che non sono state regolarmente pagate a scadenza.
Il calcolo degli interessi in regime di capitalizzazione composta anziché in regime di capitalizzazione semplice determina una crescita esponenziale del debito.
Giuridicamente, in un'obbligazione pecuniaria l'applicazione dell'anatocismo comporterebbe, per il debitore, l'obbligo di pagamento, non solo del capitale e degli interessi pattuiti, ma anche degli ulteriori interessi calcolati sugli interessi già scaduti.
L'anatocismo sia un istituto conosciuto dagli albori del prestito ad interesse, la normativa italiana non ha raggiunto un sufficiente grado di completezza, tant'è che la disciplina si basa ancora sul codice civile del 1942, ed in particolare sull'art. 1283 c.c.; secondo questa norma, gli interessi scaduti, in assenza di usi contrari, possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. In linea di principio, il codice civile vieta un regime di capitalizzazione composta degli interessi, ovvero il pagamento degli interessi su interessi di periodi precedenti.
Nonostante la tutela approntata dal citato articolo, che subordina l'anatocismo alla compresenza di alcuni presupposti ben determinati, per circa mezzo secolo nella prassi bancaria italiana hanno trovato applicazione pressoché generalizzata, nei contratti di conto corrente, le clausole di capitalizzazione trimestrale degli impieghi. Ciò grazie (anche) all'avallo della giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito, che ha affermato la validità delle clausole di capitalizzazione trimestrale, escludendo l'esistenza di un contrasto con la previsione di cui all'art. 1283 codice civile, sulla base dell'affermazione dell'esistenza di un uso idoneo a derogare al divieto di anatocismo stabilito da tale norma.
Nel 1999 la Corte di Cassazione, invertendo il proprio orientamento giurisprudenziale, ha più volte affermato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, sostanzialmente argomentando nel senso della inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare all'art. 1283 c.c..
Per evitare scompensi tra il lavoro dei giudici e la prassi, il legislatore ha ritenuto opportuno, con il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, modificare l'art. 120 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia): tale intervento ha introdotto in materia il principio della eguale cadenza di capitalizzazione dei saldi attivi e passivi, nel contempo stabilendo – con norma transitoria – una sanatoria per il pregresso, facendo salve le clausole di capitalizzazione trimestrale contenute nei contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina. La norma transitoria è stata però dichiarata illegittima, per eccesso di delega e conseguente violazione dell'articolo 77 Costituzione, dalla Corte Costituzionale (sentenza 17 ottobre 2000, n. 425).
Venuta meno la norma transitoria, finalizzata ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, la Corte di Cassazione ha continuato, con una ulteriore serie di sentenze (tra le altre, si veda la sentenza 13 dicembre 2002, n. 17813), a ribadire il suo approccio più recente, peraltro estendendo i principi enunciati inizialmente con riferimento al conto corrente bancario anche ai contratti di mutuo. Infine, con sentenza n. 21095/2004 (Cass. Civ., SS.UU., 4 Novembre 2004, n. 21095), la suprema Corte ha confermato in modo netto il revirement del 1999, così consolidando il nuovo trend giurisprudenziale.





:shock: non ho capito niente :(
berghy

#4
ghghghghghghgh...n vi dico cosa avevo capito.......si si ve lo dico...

ma....l' onanismo??....

ghghghghghghh....Ciao. Ale
AlexB

#5
AlexB ha scritto:ghghghghghghgh...n vi dico cosa avevo capito.......si si ve lo dico...

ma....l' onanismo??....

ghghghghghghh....Ciao. Ale
:lol: :lol: :lol:

#7
L'anatocismo (dal greco "anatokos" ossia "soprafrutti") è il termine, invero piuttosto complicato, con cui si definisce la pratica bancaria di calcolare interessi sugli interessi.
Con la sentenza n. 21095 del 4 ottobre 2004, la Suprema Corte, a Sezioni Unite condanna definitivamente come illeggittima la pratica dell'anatocismo.
Questa pratica, peraltro ancora messa in atto dalla quasi totalità degli Istituti di Credito, interessa tutti quei correntisti il cui saldo di conto corrente sia tendente al debito, sia che il debito venga concesso come apertura di credito, che come scoperto transitorio autorizzato o meno.
Tutti coloro che hanno un saldo debitorio sul proprio conto corrente, troveranno alla fine dell'estratto trimestrale una o più, delle seguenti spese relative a "commissioni massimo scoperto", "commissioni extra-fido", "interessi debitori","spese di tenuta conto", "spese di affidamento", ecc.
Tutte queste spese verranno addebitate in conto nel trimestre successivo e produrranno altri interessi, dando il via alla pratica dell'anatocismo.

per es. se su una somma mutuata di 1.000, alla fine del I trimestre era maturato 10 di interessi, dal 1° aprile conteggiavano gli interessi non più su 1.000 bensì su 1.010; e così via, producendo un effetto “valanga”.

Il rimborso può essere preteso a partire dal 1952, comunque da quando il conto è andata in rosso, purché si abbia in qualsiasi modo provare tale circostanza. E’ anche possibile richiedere copia degli estratti conto, la banca deve conservarli per almeno 10 anni, ma dietro pagamento di un corrispettivo. Non si ha diritto al rimborso se il conto è stato chiuso oltre 10 anni fa. Se il conto è stato chiuso da non oltre 10 anni il diritto non è prescritto.
Visita la mia casa

La nostra azienda

Il mio negozio ebay