Inviato: 07/05/10 8:35
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Il casino della libertà
di Marco Damilano
Scandali. Dimissioni. Scontri interni. Sospetti incrociati. Timori di nuove inchieste. Nel Pdl è partita la guerra per bande. Così Berlusconi e il suo esecutivo finiscono nella bufera
"Vedrete, il caso Scajola è prodromico", sentenzia l'ex ministro andreottiano Paolo Cirino Pomicino, esperto di manovre. È solo l'inizio, il meglio, o il peggio, deve ancora arrivare.
"Quello di Anemone era un sistema. E ora c'è il terrore", spiega un notabile azzurro. Nel Transatlantico alla deriva torna la paura dello tsunami. L'incubo che le dimissioni di Scajola siano il primo passo verso l'abisso. Circolano i nomi nel mirino dell'inchiesta della procura di Perugia, pescati tra i 240 conti correnti di Zampolini. Altri ministri in carica, almeno due e di primissimo piano, coinvolti nel metodo della compravendita delle case utilizzato da Scajola per acquistare l'appartamento con vista Colosseo. E numerosi parlamentari, deputati e senatori, di maggioranza e di opposizione.
I leghisti in attesa, che fanno sapere di essere interessati a rientrare nel rimpasto di governo se ci sarà. E i berlusconiani contro i finiani, senza più pudore. C'è Fini dietro i dossier, denunciano i falchi di palazzo Grazioli.
Ed è quello che pensano in molti: via Scajola cade la pietra angolare su cui si è retta la maggioranza in questi mesi. La presunzione di invincibilità, in assenza di una opposizione in grado di contendere al Pdl la guida del Paese. Spesso tramutata nella rivendicazione dell'impunità assoluta.
Con l'uscita di scena del ministro dello Sviluppo economico si è infranto il dogma numero uno del berlusconismo: mai dimettersi per un'inchiesta della magistratura. Resistere al proprio posto, negare l'evidenza, attaccare il circuito mediatico-giudiziario. Prendersela con le toghe politicizzate e con le campagne d'odio dei giornali, aspettando che passi la bufera. È la formula magica che ha salvato il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino, accusato di associazione camorristica da una decina di pentiti: niente autorizzazione all'arresto, come richiesto alla Camera dai magistrati con tanto di conferma della Cassazione, e niente dimissioni dal governo e neppure dal coordinamento campano del Pdl. Imbullonato sulle sue poltrone con la benedizione del premier. In buona compagnia: non si è dimesso, ed è stato anzi quasi proposto alla beatificazione da Berlusconi, il sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso, indagato per corruzione nell'inchiesta sugli appalti del G8 della Maddalena. È rimasto senza tanti problemi alla guida del Pdl il toscano Verdini, grande rivale di Scajola nel partito, anche lui sotto inchiesta per gli appalti dei grandi eventi. Nel governo c'è un ministro rinviato a giudizio, Raffaele Fitto. E naturalmente non ha mai pensato di mollare il Gran Impunito: Berlusconi è sempre lì a palazzo Chigi, nonostante i processi e gli scandaliPer questo, fino all'ultimo, il premier ha provato a salvare anche Scajola, nonostante la freddezza tra i due. Prima la solidarietà del Consiglio dei ministri all'unanimità, anche se accompagnata dal silenzio di alcuni colleghi di peso, Tremonti in testa. Poi l'offerta di aiuto che il ras di Imperia non poteva rifiutare: "Claudio, ti mando Niccolò Ghedini, preparate insieme la tua difesa". Ma il ministro ha commesso passi falsi a dozzine. Interviste reticenti. Superficialità e improvvisazione mentre il caso stava montando. Fino alla resa, con il 'Giornale' di Vittorio Feltri in prima fila a chiedere la testa del ministro. Ancora una volta in sintonia con il Cavaliere, a questo punto furioso con il suo fedelissimo: "Ho messo la faccia per darti una mano e tu ti sei fatto sbranare".Ma le conseguenze di uno Scajola con le mani libere e assetato di vendetta potrebbero essere devastanti per il Pdl. L'ex ministro controlla un nutrito drappello di parlamentari pronti a sostenerlo: almeno 40 tra Camera e Senato, il gruppo dei Consolini, come si chiama il ristorante romano alle pendici dell'Aventino dove si riuniscono. In gran parte sono arrivati alla terza legislatura, la ricandidatura alle prossime elezioni è un miraggio, non hanno nulla da perdere. Con il loro capocorrente desideroso di prendersi la rivincita con i nemici interni, potrebbero diventare un'altra spina nel fianco per il Cavaliere quando arriveranno alle Camere i provvedimenti più caldi. Specie se gli scajoliani dovessero andarsi a sommare al gruppo dei fedelissimi di Fini. Sempre più in rotta di collisione con il clan di Arcore, dopo la sfuriata pubblica alla direzione del Pdl, sempre più tentati dalle mani libere sulla giustizia e non solo.
Il casino della libertà
di Marco Damilano
Scandali. Dimissioni. Scontri interni. Sospetti incrociati. Timori di nuove inchieste. Nel Pdl è partita la guerra per bande. Così Berlusconi e il suo esecutivo finiscono nella bufera
"Vedrete, il caso Scajola è prodromico", sentenzia l'ex ministro andreottiano Paolo Cirino Pomicino, esperto di manovre. È solo l'inizio, il meglio, o il peggio, deve ancora arrivare.
"Quello di Anemone era un sistema. E ora c'è il terrore", spiega un notabile azzurro. Nel Transatlantico alla deriva torna la paura dello tsunami. L'incubo che le dimissioni di Scajola siano il primo passo verso l'abisso. Circolano i nomi nel mirino dell'inchiesta della procura di Perugia, pescati tra i 240 conti correnti di Zampolini. Altri ministri in carica, almeno due e di primissimo piano, coinvolti nel metodo della compravendita delle case utilizzato da Scajola per acquistare l'appartamento con vista Colosseo. E numerosi parlamentari, deputati e senatori, di maggioranza e di opposizione.
I leghisti in attesa, che fanno sapere di essere interessati a rientrare nel rimpasto di governo se ci sarà. E i berlusconiani contro i finiani, senza più pudore. C'è Fini dietro i dossier, denunciano i falchi di palazzo Grazioli.
Ed è quello che pensano in molti: via Scajola cade la pietra angolare su cui si è retta la maggioranza in questi mesi. La presunzione di invincibilità, in assenza di una opposizione in grado di contendere al Pdl la guida del Paese. Spesso tramutata nella rivendicazione dell'impunità assoluta.
Con l'uscita di scena del ministro dello Sviluppo economico si è infranto il dogma numero uno del berlusconismo: mai dimettersi per un'inchiesta della magistratura. Resistere al proprio posto, negare l'evidenza, attaccare il circuito mediatico-giudiziario. Prendersela con le toghe politicizzate e con le campagne d'odio dei giornali, aspettando che passi la bufera. È la formula magica che ha salvato il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino, accusato di associazione camorristica da una decina di pentiti: niente autorizzazione all'arresto, come richiesto alla Camera dai magistrati con tanto di conferma della Cassazione, e niente dimissioni dal governo e neppure dal coordinamento campano del Pdl. Imbullonato sulle sue poltrone con la benedizione del premier. In buona compagnia: non si è dimesso, ed è stato anzi quasi proposto alla beatificazione da Berlusconi, il sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso, indagato per corruzione nell'inchiesta sugli appalti del G8 della Maddalena. È rimasto senza tanti problemi alla guida del Pdl il toscano Verdini, grande rivale di Scajola nel partito, anche lui sotto inchiesta per gli appalti dei grandi eventi. Nel governo c'è un ministro rinviato a giudizio, Raffaele Fitto. E naturalmente non ha mai pensato di mollare il Gran Impunito: Berlusconi è sempre lì a palazzo Chigi, nonostante i processi e gli scandaliPer questo, fino all'ultimo, il premier ha provato a salvare anche Scajola, nonostante la freddezza tra i due. Prima la solidarietà del Consiglio dei ministri all'unanimità, anche se accompagnata dal silenzio di alcuni colleghi di peso, Tremonti in testa. Poi l'offerta di aiuto che il ras di Imperia non poteva rifiutare: "Claudio, ti mando Niccolò Ghedini, preparate insieme la tua difesa". Ma il ministro ha commesso passi falsi a dozzine. Interviste reticenti. Superficialità e improvvisazione mentre il caso stava montando. Fino alla resa, con il 'Giornale' di Vittorio Feltri in prima fila a chiedere la testa del ministro. Ancora una volta in sintonia con il Cavaliere, a questo punto furioso con il suo fedelissimo: "Ho messo la faccia per darti una mano e tu ti sei fatto sbranare".Ma le conseguenze di uno Scajola con le mani libere e assetato di vendetta potrebbero essere devastanti per il Pdl. L'ex ministro controlla un nutrito drappello di parlamentari pronti a sostenerlo: almeno 40 tra Camera e Senato, il gruppo dei Consolini, come si chiama il ristorante romano alle pendici dell'Aventino dove si riuniscono. In gran parte sono arrivati alla terza legislatura, la ricandidatura alle prossime elezioni è un miraggio, non hanno nulla da perdere. Con il loro capocorrente desideroso di prendersi la rivincita con i nemici interni, potrebbero diventare un'altra spina nel fianco per il Cavaliere quando arriveranno alle Camere i provvedimenti più caldi. Specie se gli scajoliani dovessero andarsi a sommare al gruppo dei fedelissimi di Fini. Sempre più in rotta di collisione con il clan di Arcore, dopo la sfuriata pubblica alla direzione del Pdl, sempre più tentati dalle mani libere sulla giustizia e non solo.