http://www.ilpost.it/2010/10/19/luniver ... ta-bene/3/
1) La “governance”. Il rettore, è vero, non potrà restare in carica più di 6 o 8 anni. Sorvoliamo sul fatto che i Rettori in carica, tramite una serie di escamotages transitori, vi
rimarranno ancora per un bel po’, e che non risponderanno dei buchi di bilancio che hanno creato in molte sedi. Ciò che è più rilevante è che i poteri del rettore vengono con questa riforma assai
ampliati, e soprattutto viene attribuito un peso decisivo in ogni settore (financo nell’organizzazione della didattica) a un organismo come il Consiglio di Amministrazione, dove siederà un 40% di rappresentanti “esterni” al mondo accademico, ovvero esponenti delle banche, dell’industria, indirettamente della politica: non è un caso che tra i più impazienti fautori della riforma vi sia proprio Confindustria.
Ma c’è di più: a una rappresentanza del 40% non è in alcun modo connesso l’obbligo di finanziare l’Università per una quota corrispondente, talché di fatto i nostri grandi imprenditori – la cui propensione al rischio personale nella gestione delle aziende pubbliche è arcinota – si troverebbero
ad amministrare il denaro pubblico sic et simpliciter. Né si argomenti che già oggi, in diverse università, al CdA partecipano esterni: nel momento in cui, per legge, il
profilo dell’istituzione cambierà, è palese che gli equilibri attuali saranno potentemente trasformati. Già questo appare, del resto: per limitarmi alla mia sede (Ca’ Foscari, dove peraltro una recente ventata di decisionismo non sta certo creando climi armoniosi fra le varie componenti), segnalo la scelta di invitare ad aprire l’anno accademico (il prossimo 22 ottobre) un personaggio discusso ma potente come Paolo Scaroni, o la laurea ad honorem incredibilmente tributata a un chiacchierato finanziatore, o ancora la corsa ad accaparrarsi i fondi leghisti per una cattedra di dialettologia italiana.