I miei ultimi due anni
Inviato: 17/11/09 15:44
Ovvero: come rivalutare sempre comunque il vostro lavoro (visto che non è il mio!).
Sarà lungo, ma vi assicuro che merita fino alla fine. Anche perché è un TALE riassunto che ci sono veramente SOLO i fatti salienti!
...
...
...
Creo un po' di attesa.
...
...
...
Ok. Sono pronta.
Arrivo qui a febbraio 2008, “indirizzata” (raccomandata) da un mio professore universitario.
Non conosco nessuno. Mi metto quindi in una posizione di osservatrice: ascolto i discorsi, percepisco le dinamiche.
Capisco subito che, anche se ci sono due entità lavorative diverse e separate (“grafica” e “eventi”) e molte persone di età differenti, non sono semplici colleghi-collaboratori.
Condividono esperienze anche fuori, partecipano agli stessi incontri, conoscono le stesse persone. Sono molti i discorsi in cui non so come intervenire (Hai visto A com’è dimagrito? Domenica poi c’eri anche tu a B? Ieri sono andato a casa di C. Sai che D è di nuovo incinta?), trovandomi in mezzo a 10 persone che parlano sempre di situazioni estranee all’ufficio ma condivise da tutti.
Siccome però si mangia sempre tutti insieme, per non continuare a tacere inizio a raccontare ogni tanto esperienze personali – in quel periodo stavo organizzando il matrimonio e comprando casa – ma noto che ogni mia uscita viene accolta con una certa freddezza. Ovvero: la normale risposta è mmmh (Abbiamo trovato il ristorante! Mmmmh. Abbiamo firmato il compromesso! Mmmm.).
Intanto il tempo passa.
Mi accorgo anche di un altro atteggiamento generalizzato: la mediocrità è universalmente esaltata. C’è un mio collega, un idiota fatto e finito purtroppo, quotidianamente salutato con “Eeeeh, eccolo!” “Ciao mitico!” e simili esaltazioni (reali, non da presa in giro.).
Quando la ragazza incinta racconta di dover fare tutto in casa perché il marito gioca sempre alla play-station, le rispote che ottiene sono uno scroscio di risate, un applauso per il marito, commenti tipo “È un grande!”. E anche lei ride.
Quando il fornitore racconta che, con il figlio di 3 mesi, non fa mai nulla perché vede tanto brava la moglie riceve pacche sulle spalle. Un attimo dopo dice che però la moglie un po’ si lamenta. Fagliene fare subito un altro! Gli rispondono.
Io: questo è il pane che mio marito mi ha fatto ieri sera. Reazione (scocciata): ma non ho capito, lavora di giorno tuo marito o cosa?
Io: ieri sono andata a vedere la mostra X / il film Y / a fare un giro in moto a Z. Reazione: mmmmh.
Il tempo passa ancora.
Mi propongono un contratto, progetto, 800 euro al mese, per me significano un po’ di sacrifici, però loro mi dicono: ti prego, capisci la situazione, non possiamo permetterci di più. Capisco la situazione. Accetto.
Il tempo passa ancora.
Io continuo a capire di non suscitare interesse con nulla di ciò che mi accade. Cambio allora atteggiamento: a tavola, ascolto e sorrido. Ma non so più cosa raccontare e taccio.
In realtà noto anche che non tutti coloro che vengono “da fuori” (perché nel frattempo mi sono divenuti chiari i motivi di tutta questa “unione”) sono così poco considerati. Se raccontano di serate alcoliche, locali, festini eccetera sono “dei grandi”, “belli tosti”.
Io continuo ad ascoltare sorridente e basta.
Arriva una nuova risorsa molto sponsorizzata, 22 anni, diploma universitario in grafica, inesperta, che lavora solo 4 giorni su 5.
Dopo 3 settimane scopre che io (laurea magistrale, 3 anni di esperienza, 5 giorni su 5) prendo 800 euro al mese. Allora informa i superiori che lei per meno di 1000 non lavora. Glieli danno.
A me cadono i denti.
Esprimo la mia tristezza per la mancanza di equità a due persone che credo amiche. Una non mi risponde. L’altra sta dalla mia parte, arrivando a confessarmi che, essendo ancora più sponsorizzato, nonostante non avesse mai fatto questo lavoro a lui hanno offerto 1400 euro.
A me cadono anche le sopracciglia.
Il tempo passa ancora.
Il tipo che sta dalla mia parte se ne va orripilato dalal pusillanimità di questa gente. Mi consiglia di fare come lui, ma io un altro lavoro non lo ho. E mi sento molto sola.
Il tempo passa ancora.
La giovane risorsa da 1000 euro per 4 giorni sa fare ben poco. Spesso vengo chiamata a risolvere i suoi problemi.
Quando mi chiedono come mai, per un lavoro che è passato a me, ci sto mettendo troppo tempo, rispondo onestamente che purtroppo il lavoro è stato fatto da una persona che sembra non conoscere il programma. Come regola generale dello studio, però, non si possono fare paragoni fra dipendenti. E vengo quindi ripresa per questa mia osservazione. Devi tenere conto che lei ha meno esperienza di te, mi rispondono piccati. Allora perché non vengo pagata come una che ha più esperienza? Ma NON POSSO chiedere.
In generale, non posso intervenire in idee altrui, proporre cose nuove ai capi, dire la mia. Devo essere obbediente.
Il tempo passa ancora.
Arriva ad “eventi” (EV d’ora in poi) una ragazza con cui lego.
EV è una realtà particolare, dove si lavora come degli ossessi per una capa particolarmente lunatica.
Questa ragazza è molto sensibile e spesso piange per il suo stato, sfogandosi con me. Io cerco di starle vicino senza esprimerle pareri personali.
Poi lei resta incinta, ha anche una serie di problemi di distaccamento di placenta. Impassibile e un po’ insensibile, EV continua a chiederle di scaricare scatoloni o di passare giornate intere in piedi.
Lei inizia a diradare le giornate in ufficio. EV si infastidisce, non sopporta queste assenze.
Lei finisce in ospedale con una emorragia, EV chiama in ospedale chiedendole quando esce perché c’è del lavoro da fare.
Lei torna 2 giorni dopo, dicendole che le hanno dato la gravidanza a rischio e che non può più lavorare. A quel punto le dico quello che penso, e cioè che si sono comportati in maniera indegna e che è meglio che stia a casa.
Si viene a sapere di questo mio discorso.
Seduta a tavola, mi ritrovo circondata di gente che mi urla i peggio insulti. sei una merxa, una stronxa, non ti sei mai integrata, non hai una vita tua, non sai farti i fatti tuoi, sei una seminazzizzania, ti bei del dolore altrui, stronxa, stronxa, stronxa.
Tre giorni così, e quando non sono lì con gli altri non si fanno scrupoli a parlare ad alta voce della cosa, continuando ad urlare tutti gli improperi che gli vengono in mente.
Finito il periodo di insulti (senza che io potessi mai replicare ovviamente) divento l’impiegata invisibile.
Sono ancora obbligata a mangiare con loro, e a restare a tavola fino alla fine del pranzo, ma non vengo considerata. Nessuno mi passa l’acqua o il pane. Se parlo, la gente fa finta di non sentire e non mi guarda in faccia. Fanno la lotta per non sedermisi a fianco. Questo, da febbraio 2009 fino ad oggi.
Giusto venerdì scorso, per dire. Si parla di Italia-All blacks.
Io: Vado alla partita!!! Reazione: mmmmh.
Collega: Sabato è dedicato al rugby. Reazione: VAIALLAPARTITA!!!!????!!!! Collega: No la guardo in tivvù. Reazione: Ah fico!
Tra un mese vado in maternità.
Sarà lungo, ma vi assicuro che merita fino alla fine. Anche perché è un TALE riassunto che ci sono veramente SOLO i fatti salienti!
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Creo un po' di attesa.
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Ok. Sono pronta.
Arrivo qui a febbraio 2008, “indirizzata” (raccomandata) da un mio professore universitario.
Non conosco nessuno. Mi metto quindi in una posizione di osservatrice: ascolto i discorsi, percepisco le dinamiche.
Capisco subito che, anche se ci sono due entità lavorative diverse e separate (“grafica” e “eventi”) e molte persone di età differenti, non sono semplici colleghi-collaboratori.
Condividono esperienze anche fuori, partecipano agli stessi incontri, conoscono le stesse persone. Sono molti i discorsi in cui non so come intervenire (Hai visto A com’è dimagrito? Domenica poi c’eri anche tu a B? Ieri sono andato a casa di C. Sai che D è di nuovo incinta?), trovandomi in mezzo a 10 persone che parlano sempre di situazioni estranee all’ufficio ma condivise da tutti.
Siccome però si mangia sempre tutti insieme, per non continuare a tacere inizio a raccontare ogni tanto esperienze personali – in quel periodo stavo organizzando il matrimonio e comprando casa – ma noto che ogni mia uscita viene accolta con una certa freddezza. Ovvero: la normale risposta è mmmh (Abbiamo trovato il ristorante! Mmmmh. Abbiamo firmato il compromesso! Mmmm.).
Intanto il tempo passa.
Mi accorgo anche di un altro atteggiamento generalizzato: la mediocrità è universalmente esaltata. C’è un mio collega, un idiota fatto e finito purtroppo, quotidianamente salutato con “Eeeeh, eccolo!” “Ciao mitico!” e simili esaltazioni (reali, non da presa in giro.).
Quando la ragazza incinta racconta di dover fare tutto in casa perché il marito gioca sempre alla play-station, le rispote che ottiene sono uno scroscio di risate, un applauso per il marito, commenti tipo “È un grande!”. E anche lei ride.
Quando il fornitore racconta che, con il figlio di 3 mesi, non fa mai nulla perché vede tanto brava la moglie riceve pacche sulle spalle. Un attimo dopo dice che però la moglie un po’ si lamenta. Fagliene fare subito un altro! Gli rispondono.
Io: questo è il pane che mio marito mi ha fatto ieri sera. Reazione (scocciata): ma non ho capito, lavora di giorno tuo marito o cosa?
Io: ieri sono andata a vedere la mostra X / il film Y / a fare un giro in moto a Z. Reazione: mmmmh.
Il tempo passa ancora.
Mi propongono un contratto, progetto, 800 euro al mese, per me significano un po’ di sacrifici, però loro mi dicono: ti prego, capisci la situazione, non possiamo permetterci di più. Capisco la situazione. Accetto.
Il tempo passa ancora.
Io continuo a capire di non suscitare interesse con nulla di ciò che mi accade. Cambio allora atteggiamento: a tavola, ascolto e sorrido. Ma non so più cosa raccontare e taccio.
In realtà noto anche che non tutti coloro che vengono “da fuori” (perché nel frattempo mi sono divenuti chiari i motivi di tutta questa “unione”) sono così poco considerati. Se raccontano di serate alcoliche, locali, festini eccetera sono “dei grandi”, “belli tosti”.
Io continuo ad ascoltare sorridente e basta.
Arriva una nuova risorsa molto sponsorizzata, 22 anni, diploma universitario in grafica, inesperta, che lavora solo 4 giorni su 5.
Dopo 3 settimane scopre che io (laurea magistrale, 3 anni di esperienza, 5 giorni su 5) prendo 800 euro al mese. Allora informa i superiori che lei per meno di 1000 non lavora. Glieli danno.
A me cadono i denti.
Esprimo la mia tristezza per la mancanza di equità a due persone che credo amiche. Una non mi risponde. L’altra sta dalla mia parte, arrivando a confessarmi che, essendo ancora più sponsorizzato, nonostante non avesse mai fatto questo lavoro a lui hanno offerto 1400 euro.
A me cadono anche le sopracciglia.
Il tempo passa ancora.
Il tipo che sta dalla mia parte se ne va orripilato dalal pusillanimità di questa gente. Mi consiglia di fare come lui, ma io un altro lavoro non lo ho. E mi sento molto sola.
Il tempo passa ancora.
La giovane risorsa da 1000 euro per 4 giorni sa fare ben poco. Spesso vengo chiamata a risolvere i suoi problemi.
Quando mi chiedono come mai, per un lavoro che è passato a me, ci sto mettendo troppo tempo, rispondo onestamente che purtroppo il lavoro è stato fatto da una persona che sembra non conoscere il programma. Come regola generale dello studio, però, non si possono fare paragoni fra dipendenti. E vengo quindi ripresa per questa mia osservazione. Devi tenere conto che lei ha meno esperienza di te, mi rispondono piccati. Allora perché non vengo pagata come una che ha più esperienza? Ma NON POSSO chiedere.
In generale, non posso intervenire in idee altrui, proporre cose nuove ai capi, dire la mia. Devo essere obbediente.
Il tempo passa ancora.
Arriva ad “eventi” (EV d’ora in poi) una ragazza con cui lego.
EV è una realtà particolare, dove si lavora come degli ossessi per una capa particolarmente lunatica.
Questa ragazza è molto sensibile e spesso piange per il suo stato, sfogandosi con me. Io cerco di starle vicino senza esprimerle pareri personali.
Poi lei resta incinta, ha anche una serie di problemi di distaccamento di placenta. Impassibile e un po’ insensibile, EV continua a chiederle di scaricare scatoloni o di passare giornate intere in piedi.
Lei inizia a diradare le giornate in ufficio. EV si infastidisce, non sopporta queste assenze.
Lei finisce in ospedale con una emorragia, EV chiama in ospedale chiedendole quando esce perché c’è del lavoro da fare.
Lei torna 2 giorni dopo, dicendole che le hanno dato la gravidanza a rischio e che non può più lavorare. A quel punto le dico quello che penso, e cioè che si sono comportati in maniera indegna e che è meglio che stia a casa.
Si viene a sapere di questo mio discorso.
Seduta a tavola, mi ritrovo circondata di gente che mi urla i peggio insulti. sei una merxa, una stronxa, non ti sei mai integrata, non hai una vita tua, non sai farti i fatti tuoi, sei una seminazzizzania, ti bei del dolore altrui, stronxa, stronxa, stronxa.
Tre giorni così, e quando non sono lì con gli altri non si fanno scrupoli a parlare ad alta voce della cosa, continuando ad urlare tutti gli improperi che gli vengono in mente.
Finito il periodo di insulti (senza che io potessi mai replicare ovviamente) divento l’impiegata invisibile.
Sono ancora obbligata a mangiare con loro, e a restare a tavola fino alla fine del pranzo, ma non vengo considerata. Nessuno mi passa l’acqua o il pane. Se parlo, la gente fa finta di non sentire e non mi guarda in faccia. Fanno la lotta per non sedermisi a fianco. Questo, da febbraio 2009 fino ad oggi.
Giusto venerdì scorso, per dire. Si parla di Italia-All blacks.
Io: Vado alla partita!!! Reazione: mmmmh.
Collega: Sabato è dedicato al rugby. Reazione: VAIALLAPARTITA!!!!????!!!! Collega: No la guardo in tivvù. Reazione: Ah fico!
Tra un mese vado in maternità.