Sil70 ha scritto:kimikalli ha scritto:chojin ha scritto:Giusto per la cronaca. Le famiglie di quei bambini non erano di ricchi commercianti da 10 mila euro al mese, che volevano fregarsi pure i soldi della mensa. Erano poveracci che già facevano fatica a mantenere i propri figli. Magari il padre faceva il manovale, a nero, per una delle tante imprese edili della zona... avete presente quelle in cui quando un operaio si fa male risulta sempre assunto proprio quel giorno?
Ecco, le maestre, a questi bimbi qui, riuscivano sempre a dare qualcosa: un pasto avanzato da un bambino assente, le patate di chi non le voleva mangiare, cose così. E quando non ci riuscivano gli davano la loro razione. Perchè quello era magari l'unico pasto decente che riuscivano a fare nella giornata. E perchè quando ti trovi davati ad un bambino di 6 anni, affamato, gli dai da mangiare. Punto. Non è una statistica, non è un reddito isee, è un bamnino che ha fame.
E un sindaco che ordini che questi bambini dovevano essere tenuti a pane e acqua in stanze separate e che minacci le maestre che volevano dargli la propria razione di denunciarle per peculato è un razzista e un imbecille.
Standing ovation
se così fosse stato, avrebbero pagato zero per la mensa, risultando no reddito!
IL NUOVO BISOGNO DI FRATELLANZA” di GAD LERNER da La Repubblica del 3 febbraio 2013
Come aiutarci nel fronteggiare l’indigenza? La fantasia non ha limiti. Un anonimo filantropo milanese che agisce tramite la Fondazione Condividere, ha elargito nei giorni scorsi una donazione in soccorso ai dipendenti della famosa scuola di Adro: dieci di loro, non certo benestanti, avevano stabilito di autotassarsi per 30 euro al mese pur di non escludere dalla refezione scolastica quindici bambini di famiglie che non ce la fanno a pagare la mensa. Il tutto per via del solito sindaco Lancini, spendaccione quando si trattava di ornare la scuola con simboli padani, ma ostinato nel rifiutare un contributo pubblico a famiglie di immigrati (poco gli importa che fra i morosi ci siano anche degli italiani): a lui piace insinuare il dubbio che si tratti di finti poveri. Ora i pasti saranno garantiti per tutti.Ecco un’applicazione concreta del principio (biblico? laico? poco importa) di fraternità. Prevale la fratellanza là dove una guerra tra poveri avrebbe potuto dar luogo a un fratricidio. Cooperazione spontanea, mutuo soccorso, spirito di comunità.
Sono faccende di cui la politica tende a disinteressarsi, impegnata com’è nella contesa per la leadership. A sinistra ci sarà chi critica il meccanismo di una filantropia che funge da tappabuchi al doveroso intervento dello Stato. A destra si accontenterebbero di defiscalizzare la beneficenza privata.
Ma in mezzo c’è la società civile, c’è il bisogno quotidiano di rispondere alla minaccia concreta della povertà sempre più difficile da ignorare. Siamo sicuri che questa società civile, immersa in una crisi che si prolunga negli anni, non sia in grado di generare un sistema economico capace di garantire fratellanza, e non solo concorrenza?Trovo suggestiva ma anche lungimirante, in proposito, la ricerca in cui s’è impegnato l’economista Luigino Bruni, editorialista di “Avvenire”, studioso della cooperazione nonché animatore del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich. Non occorre essere cattolici per seguire il filo del ragionamento storico esposto da Bruni nel suo originalissimo libro “Le prime radici. La via italiana alla cooperazione e al mercato” (Il Margine). Là dove egli ci mostra come dal Medioevo dei liberi comuni e del monachesimo, quando la nozione di cittadinanza si estese ai mestieri, alle arti e al commercio, per riproporsi dopo la controriforma nell’illuminismo e nel Risorgimento, la società civile in Italia ha trovato le sue basi nell’impresa cooperativa, e poi nel credito cooperativo e nelle cooperative di consumo.
In altre epoche di penuria la società civile ha saputo condizionare virtuosamente il mercato, la cui logica non deve essere per forza spietata.
Per riuscirvi di nuovo avrebbe bisogno della sensibilità di una politica che non riduca i diritti di cittadinanza al solo diritto di voto. Le persone, le famiglie, le comunità si industriano nella ricerca dell’aiuto reciproco, qui e ora. La politica invece è salita troppo in alto.
Soldi nostri buttati dalla finestra - Gramellini Dice Bossi: quei soldi erano nostri, potevamo farci quel che ci pareva, anche buttarli dalla finestra. Se era un tentativo di migliorare la posizione della Lega agli occhi degli elettori, temo non gli sia riuscito troppo bene. La sua frase rivela semmai lo spirito della Casta e il morbo che ha devastato il rapporto fra partiti e cittadini. Quei soldi, signor Bossi, non sono vostri. Sono nostri. Dei contribuenti che li hanno versati attraverso le tasse, spremendoli dal frutto del proprio lavoro. Sono un prestito che facciamo alla politica e che la politica è tenuta a restituirci con le sue opere e a documentarci con rendiconti precisi. Essendo soldi nostri, non solo ci interessa sapere come li spendete, ma saperlo è un nostro diritto. Altro che buttarli dalla finestra o negli stravizi del Trota.
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