Carroccio, la spina di Silvio
di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore Va bene tutto, ma io non posso stare ogni giorno a inchinarmi alla Lega, perché così non riusciamo più a fare un passo». Lo sfogo, rigorosamente anonimo ma proveniente da una prima fila tra i berlusconiani che alla Camera si occupano di giustizia, la dice lunga sull’ultima frontiera nei rapporti tra Berlusconi e la Lega. La cronaca di queste settimane, oltreché lo sconforto dei protagonisti, racconta infatti di quanto l’asse di ferro tra premier e Carroccio, quell’equilibrio che da tempo immemore permette all’uno di tenere la barra a prescindere dai conflitti interni al Pdl, e agli altri di ottenere ciò che vogliono quanto a immagine pubblica e temi che gli stanno a cuore, si sia spostato pericolosamente a favore dei secondi. Pericolosamente per il Cavaliere, anzitutto.
L’ultima frontiera dei leghisti si chiama infatti giustizia. Dacché ha stravinto le ultime elezioni, oltre che sventolare future prossime banche del nord, il Carroccio ha cambiato passo sul tema che più sta a cuore a Berlusconi. Cartina di tornasole, quel che è accaduto sul ddl svuota carceri: barricate, critiche aperte, sconfessioni, condizioni dettate per filo e per segno ad Alfano - che di quel testo è l’estensore. Risultato: il provvedimento è stato stralciato nella sua seconda parte (la cosiddetta messa in prova) e svuotato nella restante prima. Proprio come desiderava la Lega. Che ha infine deciso di dar voce anche ai suoi impulsi legge e ordine, dopo anni di silenzio totale sulla giustizia, a favor di Cavaliere. Non è che prima - sul ddl intercettazioni, per esempio - il partito di Bossi non avesse obiezioni da fare.
È che prima riteneva più conveniente non intaccare quel patto di ferro col Cav che prevedeva le mani libere dell’uno sulla giustizia, le mani libere degli altri su federalismo&C. Il cambio di passo, come si diceva, è conseguenza del risultato elettorale, che ha certificato una volta di più come la golden share della maggioranza l’abbia, appunto, il Carroccio. La Lega, del resto, nel governo occupa ruoli chiave: non escluso, e anzi in cima alla lista, quello di Tremonti, l’unico politico che è in grado di tener buono Bossi e i suoi uomini, l’unico che tratta a pari grado con Berlusconi, l’unico che si è preparato per tempo - come scrisse una volta il Corriere - a succedergli.
Del resto, se Fini procede per strappi col Cavaliere, la Lega si acconcia piuttosto ad assecondare l’eventuale progressivo logoramento del premier, sempre più interessato alla sua persona politica, che alla politica in sé. Ne è un esempio lampante la rocambolesca storia della riforma Calderoli, piombata da una cena di Arcore sul tavolo di Napolitano, senza passaggi intermedi. Illuminante, l’autodifesa fatta ex post dal ministro: «È vero che mi sono presentato ad Arcore con una bozza già fatta. Ma Berlusconi mi aveva dato mandato già due mesi prima, di fare un giro di consultazioni tra presidenti e autorità, per definirla», ha detto a In mezz’ora. Ha fatto tanto scandalo la salita al Colle, ma l’altra notizia è lì: se proprio bisogna pensare alle riforme costituzionali, Berlusconi preferisce affidare il compito alla Lega. E il Carroccio, soddisfatto, incassa, leccandosi i baffi.
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