Winky ha scritto:Io penso che si sia più felici quando ci si accontenta...
ma io non poso fare finta di accontentarmi per essere felice
penso che sarò in una situazione di disequilibrio perenne

Sei sicura?
io non userei il termine "accontentarsi"... Ma sarà che il mio concetto di felicità, ultimamente, è molto difficile da definire.
Innanzitutto, per capire quando si è felici sarebbe necessario comprendere cosa sia la felicità.
La felicità esiste come entità a se stante o esiste come contrapposizione alla sofferenza?
Se accettiamo la seconda alternativa, allora non si è felici quando "ci si accontenta" ma quando non si soffre.
Per molti, accontentarsi può significare soffrire, per altri la sofferenza è totalmente slegata da ciò che ci circonda e quindi non è condizionata dall'accontentarsi o meno di ciò che sia ha/è, per altri ancora "accontentarsi" può essere la soluzione più giusta.. ognuno di noi dovrebbe prima trovare questa sua personalissima risposta, prima di capire come fare ad essere felice...
Per come la vedo io, la felicità è uno stato puramente interiore assolutamente slegato dal contesto... come dice giustamente qualcuno, si può trovare uno stimolo alla felicità anche in mezzo alle situazioni più nere, mentre si può soffrire anche se si ha tutto...
Credo che la felicità nasca dall'espiazione della sofferenza, dallo sviscerare il proprio dolore fino a quando non diventa talmente "impersonale" che lo si può studiare al microscopio come se fosse una cosa che appartiene ad altri...
Credo che la felicità sia riuscire a vedere se stessi con ochi storicamente oggettivi ed obiettivi, tralasciando le sensazioni personali e concentrandosi sull'universalità delle situazioni...
questo non significa abbandonare il proprio stato emotivo, ma anzi saperlo riconoscere e adattare il pensiero al sentimento.
Solo che il pensiero, per essere giusto, ha bisogno che il sentimento sia giusto, ed il sentimento, per essere giusto, deve muoversi in un ventaglio di valori che il singolo individuo ritiene "giusti" in base alla propria formazione. Non può esistere nulla contro la propria etica.
Ad esempio: una cosa che ho imparato è che (nel mio Personalissimo caso) molta della sofferenza che provavo nasceva dall'aspettativa tradiva; quando mi sentivo "tradito" nelle aspettative e nei progetti in cui erano coinvolte altre persone, soffrivo moltissimo.
Già arrivare a questo risultato, per me, è stato un grosso sforzo. quando tutto te stesso pretende che la colpa della tua sofferenza sia da attribuire ad altri, non è semplice andare così a ritroso fino a trovare l'origine prima di quel dolore...
Comunque, mi sono chiesto: "da cosa nasce l'aspettativa?" e mi sono reso conto che l'aspettativa non riguarda in nessun modo l'altro, ma solo me stesso. Sono IO che nutro aspettative NON basate sull'altra persona, ma sull'immagine che IO ho dell'altra persona, e in base a quell'immagine (che non è reale, ma solo una proiezione filtrata attraverso le MIE esperienze) faccio progetti da solo. L'altra persona non ha alcuna responsabilità della mia aspettativa (se, nel frattempo, è rimasta fedele alla propria etica). Non è colpa sua se la tradisce, semplicemente perchè non ne era coinvolta.
L'altra persona (o la situazione, non c'entra se uomo, donna o fatto inanimato) è in continuo cambiamento così come lo sono io.
IO, però, non vedo l'insieme del suo cambiamento come una cosa fluida, ma solo un frammento (ricordo o impressione) sul quale costruisco un progetto, un'aspettativa.
Se esso crolla è perchè la base non ha fondamenta, non perchè qualcuno l'ha fatto crollare.
Quindi, qual è la soluzione? Non avere aspettative. non fare progetti. Non cercare di arrivare ad un obiettivo, non perseguire un sogno (tantomeno se il sogno non è il mio, ma mi viene imposto da una società o dai genitori... "tu diventerai dottore!").
questo, guarda bene, non significa "accontentarsi" o "rinunciare" o "non voler costruire" o altro! Significa l'opposto! Significa concentrare tutto se stessi sul singolo attimo, sulla situazione che si sta vivendo, sulla persona che amiamo, sforzandosi di apprezzarla, di amarla, di esserle vicino, sforzandosi di rimanergli accanto MA senza voler imprigionare un futuro o determinare un cammino... assecondando il suo cambiamento, il mio cambiamento ed il cambiamento delle circostanze che ci vedono uniti e della società che ci ospita grazie ad un comportamento "armonioso".
Significa vedere le situazioni in modo oggettivo, universale: "Cambierà, perchè tutto l'universo muta, ma in questo istante è così", significa prendere piena coscenza dei propri limiti e vivere come se non ne avessi.
Non significa "rinunciare al futuro" ma vivere il presente.
Non credo di essermi spiegato bene.... non so, d'altronde, come fare a spiegarmi meglio!

queste riflessioni sono la frase conclusiva di un libro lungo anni, e quindi sono difficilissime da spiegare, se non spiegando tutto il ragionamento che ha portato a queste conclusioni (cosa che sono assolutamente certo che nessuno vuole!

).
comunque questi pensieri mi hanno sempre portato conforto e sono molto felice che una mia passione, la filosofia orientale, mi abbia permesso di trovare la serenità che ho cercato molto
Ovviamente, per restare in tema al mio discorso, anche la mia serenità attuale è soggetta a cambiamento, quindi è meglio non abituarsi troppo
