Per non lasciare così com'è una discussione interrotta e così.. tanto per dare il mio contributo al
busillis di Cana e consorte.. (ma sempre che alla fine non risulti pesante), riporto un esempio di critica attribuzionistica supportata dalla ricerca strumentale e da quella sulle fonti (riassunte dalla 'specialista' Mina Gregori nel suo
Caravaggio, come nascono i capolavori, 1991) a proposito di un quadro che personalmente reputo tra i più belli mai dipinti nel '600 in Italia, il
Sacrificio di Isacco, versione in coll. Piasecka Johnson, Princetown, forse il più importante per freschezza e
sprezzatura largamente attribuito a Caravaggio del quale, come giustamente diceva sopra Cana, non esistono prove certe della sua paternità ma 'solo' una lunga serie di indizi. Quali? Vediamoli..
Immaginando d'esser in auto e di ascoltare Cano e Cana discettare sul quadro di Caravaggio dal sedile posteriore, chiaramente nella (piccola) parte lasciata vuota dalle Canarine improvvisamente addormentatesi (ci siamo: abbiamo trovato il sistema..

), dico poi la mia..:
Il
Sacrificio di Isacco, nella versione di cui si parla, è un soggetto reso famoso per la presenza di una miriade di copie realizzate nel '600 - più di una ventina - gran parte di media/scadente fattura, reperitesi nell'Europa occidentale, in Spagna ed in Italia meridionale sopratutto. Già nel secondo dopoguerra uno studioso francese scoprì che, nell'inventario di un nobile del '700 di Saragozza - il marchese di Lierta - è menzionato il soggetto attribuito al Merisi, e che, non per niente era valutato 200 libbre, la stima più alta di tutta la collezione. Lo stesso studioso reperì un’altra copia, in una chiesa nei pressi di Valladolid, feudo degli Osuna. Dalla penisola iberica successivamente sono state trovate molte altre copie di qualità più scadente/discontinua però, e, di recente sono spuntate pure nel mercato collezionistico di Madrid.
L’esistenza di un pezzo di Caravaggio in Spagna potrebbe far pensare ad una tela posseduta nella collezione del vicerè di Napoli, lo spagnolo duca di Osuna, protettore di un altro grande artista caravaggesco, il Ribera.
In area napoletana poi sono 'saltate fuori' altre copie dello stesso soggetto, attribuite a Caravaggio, nella Cattedrale di Castellammare di Stabia, e ne esisteva un'altra in collezione del principe di Scilla: ciò fa supporre che l’originale per un certo tempo fu a Napoli e poi di qui inviato in Spagna. Moltissime altre copie reperite ancora in Spagna, da un altro studioso spagnolo - almeno una decina - è l’indizio fortissimo dell’esistenza di un’originale caravaggesco.
La storia dell'esemplare di Princeton, tra le tante copie quella più bella (primo dipinto in alto) – attribuito dalla maggioranza della critica al maestro lombardo - invece è assai corta: proveniva dal mercato antiquario svizzero ed è stato acquistato dalla collezionista americana solo negli anni ’80.
Le numerose indagini (anche) radiografiche a cui è stato sottoposto negli anni '90 la tela, evidenziano le ottime condizioni generali, come non abbia subìto restauri dannosi ed un particolare importantissimo: un rammendo della tela – era molto comune allora – all’altezza della mano di Abramo; appare evidente che il pittore volesse ‘coprire’ col dipinto e con la forma di una mano, l’irregolarità della tela, risarcita. Per questo dettaglio affatto secondario, per la stesura compatta, per le numerose ridipinture in corso d'opera, le incisioni con la punta del manico del pennello sull’imprimitura, e le aggiunte, i ripensamenti, tipici del
disegnare dipingendo dell’artista, che provano il non carattere di copia, l’altissima qualità e la freschezza delle pennellate stese con libertà e virtuosismo insieme; tutto questo fa ritenere decisamente autografa questa versione della collezione Piasecka Johnson, forse l’originale che da Napoli partì per la Spagna.
Numerosi i brani di grande pittura all’interno del dipinto che sembra un microcosmo ricchissimo in cui lasciarsi andare – come ricordo la mia attenzione letteralmente assorbita dentro il quadro esposto nella mostra romana di 20 anni fa, nel 1991, a Palazzo Ruspoli – come quello del tizzone ardente (particolare sopra), sconcertante nella sua potenza
manetiana e
velazquena, che conferma la conquista da parte del pittore lombardo del processo di elementare semplificazione a cui il dato oggettivo è sottoposto. Bellissimo l’altro particolare che ho scansionato dalle pagine del libro della Cinotti, quello della testa in penombra di Isacco, posta di trequarti, con lo sguardo perso o assorto. L’artista evita la tensione ed il senso del dramma tradizionalmente rappresentato nell’iconografia dell'episodio biblico comunicando allo spettatore un senso di calma, lo spavento è passato: ormai l’Angelo è apparso e sta spiegando ai due che la volontà di Dio è cambiata; il coltello è lontano dalla gola di Isacco, la presa di Abramo non è più ferma, i volti appaiono distesi. Il maestro si conferma un grande innovatore - come già successo in numerose altre opere - anche dell'iconografia del soggetto, frutto della vicinanza del pittore a certi gruppi colti e 'aperti' della curia, tra cui il cardinale Francesco Maria del Monte e ad altri committenti progressisti.
Da notare poi nelle opere caravaggesche la disposizione della luce e dell’ombra che per l’artista hanno non solo un significato plastico (la luce fa affiorare corpi, visi, dettagli) o naturalistico, ma anche spirituale. Il fascio di luce trasversale, che è tipico in Caravaggio che usava provare gli effetti della luce su persone e materia costruendo dei 'teatrini'
ad hoc, nel suo studio oscuro, proviene da destra, dal basso in alto, e colpisce la testa del giovane Isacco, la cui ombra dei capelli è proiettata e disegnata in modo magistrale sul collo di Abramo.
Inoltre, il maestro sfodera tutto il suo virtuosismo, segno dell'apprendistato nella bottega del Cavalier d'Arpino in cui lavorava accanto a pittori nordici, richiamando il senso del tatto nel rappresentare il vello dell’ariete, nelle barbe e nei capelli, nella qualità delle stoffe degli indumenti e nella rugosità/ruvidezza degli incarnati.
Datazione? Piuttosto discussa. Probabilmente subito prima o subito dopo la decorazione per la Cappella Contarelli in S.Luigi dei Francesi, terminata verso il 1601, il capolavoro che segna l’inizio della travagliata fama dell’artista maledetto, al quale nell'occasione fu rifiutata la prima pala d'altare che in certo modo risultava sconveniente.
Sotto, riporto di seguito alcune delle opere dipinte nello stesso periodo dell’
Isacco Princeton dal maestro lombardo, tra cui
Marta e Maddalena, S.Caterina d'Alessandria, Cena in Emmaus Brera, L'incredulità di S.Tommaso, S.Giovannino Capitolino, Vocazione dei Santi Pietro e Andrea, Vocazione di Matteo, dal ciclo di
S.Matteo, Cappella Contarelli, S.Luigi dei Francesi, Roma..
Infine, senza citare la spaventosa bibliografia su Caravaggio è sicuramente più pratica la corposa biografia e la cronologia delle opere di Wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Michelange ... Caravaggio
http://it.wikipedia.org/wiki/Cronologia ... Caravaggio