Da un'altra prospettiva questo rapporto quasi "maniaco-ossessivo" con la propria abitazione mi ricorda una coppia di miei amici e mi riporta indietro di una decina d'anni (12 per l'esattezza), quando decisero di riattare un'antica casa di famiglia del '700 sul lago Maggiore. All'inizio fu tutto molto eccitante: il progetto, i lavori, le mille discussioni ... ogni energia andava a finire tra quei mattoni. M'invitavano a cena, restavo a dormire e l'indomani inevitabilmente mi toccava dare una mano di qui e di là

Poi, una volta la casa finita, c'è stato un periodo di intenso autocompiacimento (con cene, pranzi, inviti su inviti, ecc.) durato circa un anno e mezzo e, a partire da lì, un progressivo "spegnimento". Come una sorta di vuoto dopo la tempesta. La ragion d'essere riferita alla casa era venuta meno e, con essa, erano venuti a galla una serie di problemi relazionali rimasti sopiti, fino ad allora, dall'entusiasmo per i lavori. Ci sono stato, l'ultima volta, due anni fa circa e vi ho respirato un'aria triste e vuota. Ho visto una coppia solitaria e annoiata in una splendida casa. Mi hanno detto che, se potessero, comprerebbero un'altra casa da riattare, solo per il gusto di ritrovare il piacere di condividere l'entusiasmo per un progetto. Per avere una ragione di vita!

Ecco, la tua vicenda mi ha riportato alla mente quei miei amici ('azzo dovrei telefonare loro: è da tanto che non li sento) e mi rammenta che, per quanto io sia attaccato al focolare domestico, mai vorrei esserne schiavo al punto da non ricordare la natura funzionale della casa e il suo ruolo tutto sommato secondario nella sfera di ciò che conta veramente nella mia vita.
Voilà ... solo qualche riflessione ...
Ciao!! ... e in bocca al lupo per le prossime tappe dei lavori!
