Chiedo scusa se mi inserisco così senza aver letto tutto....non ho figli, non insegno e non ho neanche mai letto nulla della Mastrocola; inoltre, per colmo di sventura, non ho neanche frequentato il liceo
(direte: myfriend, pussa via! 
).
Mi sembra di capire da una delle recensioni postate da bradipa che l'autrice sia contraria alla "scuola a tutti i costi" ed invece favorevole ad un abbandono da parte di chi "non è portato" per gli studi.
Questa sua posizione costituirebbe una reazione, ma anche una proposta di soluzione, al grave ed evidente degrado in cui versa attualmente l'istituzione scolastica, al cui interno, paradossalmente, è attuato un massiccio svilimento del valore intrinseco dello studio, tanto più riprovevole quanto più direttamente conseguente a precise scelte di impostazione a livello centrale.
Io credo che, essendo l'istruzione un servizio alla persona che la investe in modo globale (idem dicasi per la sanità), non si possa prescindere dal valore che si attribuisce appunto al concetto di persona: è questo a mio avviso lo snodo cruciale.
Lo studente (o il malato) viene trasformato e così ridotto in semplice "utente": sembra solo un gergo tecnico ma diventa - e proviene da - una forma di pensiero.
Quanto più limitata, predefinita, parcellizzata è l'idea che ho (che "devo" avere) della persona davanti a me, da istruire oppure da curare, tanto più limitata, standardizzata, "minimale" sarà la mia opera nei suoi confronti.
Posso cercare di essere professionale, ma entro limiti che non lasciano spazio al coinvolgimento e non mi permettono né una vera crescita né men che mai un entusiasmo.
Il distacco interiore dal proprio lavoro secondo me porta pian piano al disimpegno.
Probabilmente non mi spiego granché bene....
Soprattutto nel caso delle medie inferiori, un insegnante senza passione, entusiasmo per la sua materia non invoglia allo studio, allo stesso modo un medico senza passione per la medicina non trasmette fiducia al malato. I ragazzi lo intuiscono in un attimo, i malati anche. Perché entrambi hanno un bisogno grande, quello di essere accolti ed accompagnati in una fase delicata della loro vita.
Se un ragazzo percepisce di non avere poi un gran valore agli occhi della società tutta, che per lui si traduce primariamente nella scuola e nella famiglia, per quale motivo dovrebbe "mettercela tutta"? Solo per avere il diplomino? Ma tanto quello si ottiene comunque! E dopo?

Naturalmente anche al docente capita di non essere apprezzato per il lavoro faticoso che svolge
(gli studenti - se va bene -non lo ascoltano, i genitori lo trattano con diffidenza, il dirigente scolastico lo saluta a malapena, il Ministero sa soltanto emanare Circolari astruse ecc.): in tal caso probabilmente lavorerà il minimo indispensabile, sognando la pensione. Però il docente è un adulto già formato, con risorse che i ragazzi non hanno ancora.
Secondo me negare la possibilità della scuola ad un ragazzo che non si è mostrato particolarmente propenso allo studio, in molti casi non è una buona soluzione, proprio perché il suo atteggiamento potrebbe esser frutto di una reazione ad un contesto familiare e scolastico poco accogliente.