
La riunione è stata richiesta dai genitori perchè alcuni di loro hanno il sentore che stiano cercando di bocciare diversi ragazzi per far sì che qualche altro ragazzo emigri in altre scuole (come già avvenuto) ed eliminare (nuovamente) una sezione.
Dato certo è che i prof ripetono spesso e volentieri ai ragazzi che sono il peggio che abbiano mai avuto, che non hanno speranza e che saranno ricordati come i peggiori.
La cosa che mi ha rattristato è sentire ancora una volta un paio di persone (parenti molto stretti di insegnanti) difendere l'operato dei prof a priori. Quando ho chiesto in cosa si traduceva questo "comportamento pessimo" da parte degli studenti e se il problema riguardava non pochi elementi ma quasi la totalità della classe se forse era il caso di valutare anche il metodo degli insegnanti nel rapportarsi .... apriti cielo .... "questa non è una scuola privata è una scuola pubblica l'insegnante è l'insegnante e nessuno può giudicarlo, ci macherebbe che fossero loro adesso ad essere valutati".

Vi riporto di seguito un brano letto tempo fa di un sociologo che riassume meglio di quanto possa mai fare ciò che penso:
Parto da un’osservazione. Io mi arrabbio profondamente quando sento dire che i giovani di oggi non hanno valori, non credono in niente. E mi arrabbio ancora di più quando a dirlo sono gli insegnanti. Alcune ricerche condotte da un istituto specializzato in ricerche sul mondo giovanile e sul mondo della scuola, mostrano che molti insegnanti la pensano esattamente in questo modo: i ragazzi non hanno più valori, non ha senso per loro l’impegno e il sacrificio. Interessano solo le sciocchezze, la televisione, la musica.
Questo è un giudizio profondamente ingiusto. Ed è un forma di auto-assoluzione. Non sono i ragazzi ad essere senza valori. Sono gli adulti ad essere senza valori, o almeno ad avere accettato dei valori deboli, un’etica della reversibilità e della contingenza, in cui ogni scelta può essere rivista, ri-considerata, ribaltata. Sono gli adulti non sanno indicare ai ragazzi un modello convincente dell’io e della società. Sono gli adulti che hanno “tirato i remi in barca”. E’ la nostra generazione, dei quaranta-cinquantenni che è rinunciataria, relativista, disimpegnata.
I ragazzi hanno respirato questo clima, respirano questo clima. Che è il clima dell’interesse, del tornaconto, della furberia, del massimo risultato con il minimo sforzo. Ma a grattare un po’, appena un po’, si ritrova una curiosità, un desiderio di impegno, di serietà, che è straordinario. Vi siete chiesti perché certi film come Il Signore degli Anelli (ma potremmo citare anche Il gladiatore o L’ultimo samurai) hanno avuto tanto successo tra i giovani? Certo potrete rispondere: perché sono stati oggetto di una promozione massiccia. Potreste anche dire, giustamente, che non mancano effetti retorici e pacchianerie hollywoodiane. Tutto vero. Però vi siete chiesti quali sono i valori di questi film? Questi valori sono il senso dell’onore (l’onore, un valore che si pensava fuori moda, un valore feudale, medievale, per dirla con Montesquieu, mentre il valore tipicamente moderno sarebbe la “virtù”, anzi la virtù “civica”), poi il senso della dignità dell’individuo che fa una scelta e a questa rimane fedele fino alla fine (questa è in estrema sintesi la storia della Compagnia dell’anello), poi il valore della libertà come conquista faticosa e non come semplice premessa astratta dell’agire, poi il valore del coraggio, il valore del sacrificio, che è anche il sacrificio di sé. Qualche superficiale pensa che l’onore sia un valore di destra e la libertà sia un valore di sinistra. Bene, questi ragazzi cinici e superficiali, di destra o di sinistra o a cui non importa niente né della destra né della sinistra, si sono commossi e entusiasmati di fronte a queste figure e a queste storie. Perché li interrogavano, contenevano implicitamente una domanda su di sé. Allora il problema vero è forse far sì che tutto questo non rimanga una pura emozione, o rimanga nell’implicitezza di un umore momentaneo.
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Vedete. Tutto ciò per dire cosa? Che non sono i ragazzi che non hanno più valori, siamo noi che non sappiamo renderglieli convincenti, concreti, percepibili, incarnati.
Il rapporto educativo è – prima di tutto e più profondamente di ogni altra cosa – un rapporto personale, cioè un rapporto tra due persone, in cui l’allievo percepisce l’insegnante non solo come una “macchina parlante”, un dispensatore di conoscenza (anche se questo è importante), ma come un modello affascinante e persuasivo di umanità e di sapere, insisto non solo di umanità, ma di umanità e sapere – perché le due cose nel nostro mestiere sono inesorabilmente intrecciate.
E questo mostra un’altra dimensione. Affettività significa coinvolgimento. Ma coinvolgimento vero significa reciprocità. La reciprocità rifiuta la complementarità rigida (il rapporto superiore-inferiore cristallizzato e superbo), ma anche la simmetria, cioè il malinteso di porsi sullo stesso piano dei ragazzi. La reciprocità è un’altra cosa. In fondo anche quando nascono i nostri figli, non siamo solo noi a socializzarli e ad educarli, ma anche loro ci socializzano, cioè ci “educano” al nostro ruolo di padri e madri. Perché tale ruolo non può essere saputo prima, ma viene appreso nel momento in viene sperimentato, in cui “accade”.
Che è dire: tu sei credibile, non solo perché sai bene le cose, sei appassionato a ciò che fai, c’è una simpatia o una sintonia con te, ma tu sei credibile perché mi ascolti. Perché mi guardi. Quante volte i nostri studenti intervengono durante le lezioni non perché hanno una domanda particolare sul contenuto di quello che stiamo dicendo, ma perché è come se dicessero: sono qui, ci sono, sono proprio io, guardami, prendimi in considerazione. Allora la più potente radice della credibilità dell’altro è la percezione che l’altro non è distratto, ma è “presente”. Perché dentro il ruolo, e dentro le regole e gli obblighi del ruolo – i programmi, le interrogazioni, i voti – io vedo la tua persona, io intravedo la tua persona.
Questo è il senso più vero e profondo della credibilità. Mi sembra che Guardini esprima bene questo concetto. In Persona e libertà c’è un capitoletto che si intitola proprio: La credibilità dell’educatore.
Dice Guardini:
“La più potente “forza di educazione” consiste nel fatto che io stesso [cioè, io educatore] in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere”.
Qui, in questo “mi protendo”, si coglie chiaramente un’eco di San Paolo. Mi protendo e mi affatico a crescere. Cioè mi affatico ad essere più impegnato, più serio con me stesso, più attivo, più sollecito, più intelligente, più ricco di immaginazione. Che sono tutte qualità che si coltivano. Anche l’immaginazione e la creatività si coltivano.
E continua:
“Sta proprio qui il punto decisivo. E’ proprio il fatto che io lotto per migliorarmi che dà credibilità alla mia sollecitudine pedagogica per l’altro”.