Il travaglio è stato bello, molto dolce e con ritmi diluiti. Ho camminato in una splendida giornata di inizio autunno, da sola, coi ragazzi, coi miei pensieri e con le mani su quella pancetta che tanto mi aveva fatto faticare.
Un sole stupendo ci ha scaldati tutto il giorno con discrezione, poi è arrivata la sera e ho iniziato a danzare per far scendere Orlando nel mio bacino, dato che ancora se ne stava bello sospeso a fluttuare.
Le ostetriche riposavano al piano di sotto, il neosposo dormicchiava sul letto, i ragazzi dormivano della grossa.
Dormivano anche quando hanno montato la piscina in salotto, col trambusto della pompa per gonfiare e il rumore d'acqua e di chiacchiere lente.
Poi in acqua sono iniziate le contrazioni più toste che ho affrontato nel modo che mi viene bene, ovvero vocalizzando, appoggiata sul bordo, con l'acqua che le ostetriche e il mio sposo mi versavano sulla schiena.
E poi ecco di nuovo quella sensazione conosciuta e ancestrale: spingere si deve!
Un misto tra dolore, paura, eccitazione, emozione.
Sentire le mani tremanti del tuo compagno di avventura mentre tu assecondi la spinta ti fa capire in un attimo l'amore e la fiducia che lui ripone in te.
Orlando esce, lo sento, piango, ancora si deve spingere.
Poi arriva come un fremito d'ali: ancora tutto avvolto nelle membrane, con un giro di questo nostro cordone intorno al collo.
È stupendo, sembra un collage tra i fratelli e quel labbrino un po' imperfetto lo rende così perfetto!
Ci abbracciamo, rido molto, piango.
Finalmente ti vedo bimbo mio.
Scusa se non ho goduto di questa attesa come mi ero immaginata.
Ora sei qui finalmente e tutta le paure lasciano il posto alla tua accoglienza sulla Terra, creatura stupenda.
La placenta è ancora qui attaccata, manca poco al distacco, l'ombelico si sta formando.
E mi godo la sua pelle morbida e profumata sulla mia.
E mi godo anche la quiete che ha saputo portare in casa in questi giorni sospesi.