Svolta alla Biennale Arte intitolata 'Il Palazzo Enciclopedico' - godibile tra Arsenale, Giardini e gli altri padiglioni nazionali disseminati lungo le calli della città lagunare - che ha chiuso i battenti ieri. L'edizione 2013 curata da Massimiliano Gioni, appare per scelte, partecipazioni ed allestimento, fortemente diversa dalle precedenti.
Vediamo perché, provo a raccontarlo.
Anni '50. Tutto nasce da un'idea utopistica dell'artista autodidatta italo-americano, Marino Auriti che depositò all’ufficio brevetti statunitense (1955) il progetto di un Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità. Auriti progettò un grattacielo di 136 piani che avrebbe dovuto raggiungere i 700 metri di altezza ed occupare più di 16 isolati, da innalzarsi a Washington. L’impresa rimase incompiuta, naturalmente, ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante che attraversa la storia dell’arte e l’umanità accomuna personaggi eccentrici e non, come Auriti e molti altri artisti, scrittori, scienziati che hanno cercato di costruire un’immagine del mondo capace di sintetizzarne l’infinita varietà e ricchezza. Un'idea moderna ed attuale, specialmente oggi, dove sotto il diluvio di un'informazione globale ed incessante, il tentativo di organizzare la conoscenza in sistemi omnicomprensivi appare necessaria e disperata insieme.
L'allestimento. Oggi la Biennale (come anche le altre rassegne internazionali) è una grande mostra e non più la registrazione delle situazioni artistiche avvenute nel biennio precedente in tutto il mondo, e nemmeno è il luogo dove vedere 'i futuri grandi artisti' dei prossimi anni. Quest'edizione dunque, più che mero allestimento di opere, somiglia ad una grande ricerca: in questo Palazzo Enciclopedico il curatore va alle origini della creazione, tendendo relazioni (più o meno inaspettate, a volte insospettabili) con discipline disparate, per cui sono esposte - più che opere di artisti contemporanei, e questa è una novità - molte opere di artisti del passato, addirittura vissuti nel XIX secolo, i cui lavori non hanno nemmeno la pretesa di 'opere d’arte', ma che però le hanno sollecitate. Un atto di coraggio del curatore anche verso il sistema dell'arte che in queste occasioni impone siano ben rappresentate tendenze, scuderie ed artisti.
Sul recupero degli artisti obliati o di una cultura figurativa più semplice apparentemente - posti in secondo piano dalla storia dell'arte ufficiale - un esempio può essere il caso dell'artigianato bretone ed etnologico 'oceanico' indispensabili per accendere le visioni di Gauguin, o l'arte 'primitivistica' ed africana utile a Picasso per abbandonare i clichés realistici, o gli studi sulle creazioni degli alienati e le opere infantili fondamentali per la crescita di artisti difficili e moderni come Klee o Dubuffet - tanto per fare qualche nome.
Questo materiale sollecita gli artisti fino a diventare nuova ‘ossessione’, nuova forma d'arte. Nell'allestimento quasi documentaristico, che suggerisce agli artisti quanti stimoli offra la realtà, sfuma la distinzione tra maestri e dilettanti, tra outsider ed insider, accostandoli insieme. L'approccio sulle immagini è antropologico, concentrandosi sulle funzioni dell’immaginazione e sul dominio dell’immaginario (in un certo modo, sottofondo costante ed onnipresente, sono il surrealismo e le neoavanguardie degli anni '60) fino a battere sentieri poco calpestati, come quello legati alle ricerche antropologiche e documentaristiche diffuse nel secolo del positivismo. Sempre su questa via, si indaga l'ossessione creatrice ed il potere trasformativo dell’immaginazione: non a caso la mostra si origina sotto l'egida di due numi tutelari, Carl Gustav Jung e André Bréton.
Il Libro Rosso (sotto), presentato per la prima volta in Italia e prima d’ora mai esposto, opera (è il caso di dire) del padre della psicanalisi, manoscritto dipinto in cui sono illustrate una serie di visioni auto-indotte e che erano utilizzate dall'autore per una riflessione sulle immagini interiori, sulle allucinazioni e sui sogni, luogo-rifugio della conoscenza e strumento di auto-analisi ed insieme via di fuga nel dominio del fantastico - materia che attraversa l’intera mostra.
Ed il ritratto-calco ad occhi chiusi di André Bréton, guru del gruppo surrealista, opera di René Iché:
Arsenale. Negli splendidi e vasti spazi dell’Arsenale (non più continuativi ma interrotti da stand in cartongesso - forse questo l'unico neo) si susseguono una progressione di esposizioni, dispiegate come nelle wunderkammer cinquecentesche, dalle espressioni figurative più varie (che includono film, fotografie, video, bestiari, labirinti, tavole enciclopediche, performances ed installazioni) emerge una costruzione complessa ma fragile, un’architettura del pensiero umano, questa è la costante definitiva, tanto stimolante quanto delirante. Cataloghi, collezioni, tassonomie, acquerelli, fotografie, ricerche più o meno impazzite sono alla base di molti allestimenti, e fonte d'ispirazione e dell'operare delle avanguardie novecentesche (Dada e surrealisti soprattutto) che rimandano naturalmente alle ricerche odierne.
Si va dagli studi parascientifici nella collezione di disegni di Van Caeckenbergh, in particolare degli alberi, che trovano eco in Roberto Cuoghi nel gigantesco agglomerato Belinda, 2013 e per consonanza, nel padiglione olandese, che ospita l'installazione unica Cripplewood, 2013, della De Bruyckere, fino ad arrivare alle sculture/macigni sospesi ed instabili di Phyllida Barlow:
Per poi passare ai bestiari fantastici di Shinichi Sawada, raffinato artista giapponese del legno, autistico, ed, a quelli contenuti nelle teche, sempre scolpiti in legno dall'ex militare americano Levi Fischer Ames, per finire con i disegni fantastici di Roger Caillois (sodale di Bréton) e di Domenico Gnoli.
E ai precursori della modernità, artisti di secondo piano che, parallelamente ai grandi artisti ed ai movimenti d'avanguardia ne hanno anticipato temi. Come l'icona dell'avanguardia statunitense Harry Smith - parallelamente ai circoli surrealisti - e che fu cineasta, pittore, collezionista, mantenne una spiccata attrazione per il misticismo e l'occulto per tutta la vita, di cui sotto un cortometraggio. Anticipatore della rivoluzione degli anni '60 il suo film più noto Heaven and Earth Magic (1957) collage psichedelico in cui si sommano le atmosfere della strada a suoni assortiti e a visioni oniriche, che sfociano in un humor criptico e non-sense, ispirato ai metodi dell'automatismo surrealista.
O, il caso Hilma af Klint, artista dotatissima che in vita occultò le sue opere, semisconosciute, e anzi nel suo testamento volle che solo dopo 20 anni dalla sua morte potessero essere rivelate. Verso il 1906, anticipando le grandi prove astratte di artisti del calibro di Kandinsky, Mondrian, Kupka, Malevic, Delaunay, Hilma sfodera una serie di grandi dipinti esoterici che dovevano essere collocati all'interno di un tempio a spirale. La pittura, non più figurativa, dichiarava all'epoca l'artista svedese, che praticava l'occultismo e lo spiritismo fin dalla morte della sorella, era svolta in uno stato di trance e dettata da entità soprannaturali.
Allo spirito di catalogazione del visibile, fa parte La Grande Biblioteca, 1976-86, di Gianfranco Baruchello, come pure i mastodontici Scrapbooks, collezione di splendidi volumi colorati realizzata e continuata dal 1977 ad oggi da Shinro Ohtake, coacervo caotico che riporta insieme articoli, oggetti, illustrazioni della realtà, simboli mass-mediali.
Intrigante poi la collezione ossessiva di bambole di Morton Bartlett, la cui esistenza era sconosciuta prima della sua morte nel 1992; accuratamente realizzate in gesso - dopo numerosi schizzi e bozzetti in creta - i cui vestiti erano cuciti a mano, dallo scultore (non troppo) dilettante.
Appartenevano ad un impiegato americano, Peter Fritz (raccolte ed allestite da Oliver Croy ed Oliver Elser) la collezione di 387 casette, pure ossessiva, ispirate a quelle della periferia americana.
Per terminare, ma solo per ragioni di spazio, da citare la bella serie dei mari scuri, ostili e perigliosi rappresentati da Thierry De Cordier.
Giardini. Va menzionato lo scambio di padiglioni Francia/Germania, due rivali di sempre anche in fatto d'arte, in occasione del cinquantenario della firma del trattato di pace di Parigi del 1963. Imperdibili i video-concerti Ravel. Ravel. Unravel, 2013, progetto di Anri Sala, incentrati sulla rivisitazione del Concerto in Re per mano sinistra di Ravel del 1930 nel padiglione tedesco, e l'installazione di 886 sgabelli a tre gambe di Ai Wei Wei ospitato nel padiglione francese, che denuncia la scomparsa dell'artigianato tradizionale cinese dopo la rivoluzione culturale e quella industriale in atto:
http://www.youtube.com/watch?v=F6YTcTcLgLg
Dopo quello geniale del 2011 (Impostor di Mike Nelson, che ne aveva cambiato i connotati, trasformando il padiglione neoclassicheggiante in favela - sopra), un ritorno alla storia dell'Inghilterra nel Padiglione UK, protagonisti addirittura William Morris (che lancia lo yacht di Abramov, dipinto da Jeremy Deller), David Bowie, gli anni '60, l'industrializzazione e, non male per novembre, il thé caldo offerto ai visitatori. Sotto, ancora Deller, il suo grande murale col falco predatore (che artiglia una Rover) in estinzione che si sospetta sia stato cacciato dal principe Henry e appunto Morris con la barca del magnate russo, padrone di mezza Inghilterra.
..segue il Padiglione USA con grandi installazioni formate da oggetti banali e consumistici, raccolti ed assemblati da Sarah Sze nel Triple Point, 2013, che da soli non sono nulla ma aggregati creano un'inversione spaziale nella percezione degli ambienti, manipolando appunto, lo spazio reale:
Finalmente al passo coi tempi, il Padiglione Italia - dopo il carrozzone anacronistico dell'edizione 2011 affollato sopratutto di cattiva pittura - ed oggi arricchito finalmente di installazioni, video e performances, e con la novità della sua allargata fruibilità, pagando un biglietto più 'leggero'.
Sotto le performances di Fabio Mauri, Ideologia e Natura, 2013 e di Marcello Maloberti, La voglia matta, 2013:
http://www.youtube.com/watch?v=tNDX3rTsIkU
http://www.youtube.com/watch?v=VMeseYvI9-I
http://www.youtube.com/watch?v=OD5rSIswPd4
Infine, una bella sorpresa è stato imbattersi, aleggiante all'interno del padiglione brasiliano sopra le altre opere, una delle macchine futuriste di Bruno Munari, esempio perfettamente attuale per gli artisti di oggi.
Biennale di Venezia 2013 e le mostre collaterali
#1
Ultima modifica di lot il 13/12/13 8:27, modificato 3 volte in totale.